Ogni anno mi approccio a Sanremo con quel gusto di ricerca per il trash e per le centinaia di messaggi scambiati in live per commentare quanto accade. Sanremo è Sanremo perchè tutte e tutti ci troviamo a parlarne, nel bene o nel male, anche quando non lo vediamo (in questa settimana mi sono ritrovato a parlarne senza che nessuno, me compreso, avesse visto la puntata del giorno precedente).
Sanremo ha le caratteristiche per poter essere definita come un’allucinazione collettiva di cui non possiamo fare a meno e questa edizione la vince Olly con un brano (forse) carino ma sicuramente non clamoroso e che non fa altro che farmi pensare che si tratta della cover di “il filo rosso” di Alpha (quella canzone che fa “da sconosciuti a innamorati, da innamorati a sconosciuti” - dai lo so che l’hai canticchiata o ascoltata almeno una volta). Comunque nulla in contrario contro il cantante in quanto persona, di base non ho mai ascoltato altri suoi pezzi, però questo Sanremo è uno spaccato dei tempi che corrono, come tutti i precedenti d’altronde.
In quello che sembra essere decantato allo stesso tempo come il Sanremo “più bello” e “più piatto” degli ultimi 20 anni, per questo dico che siamo allucinati, ci sono alcuni aspetti che hanno attirato la mia attenzione.
1. A Sanremo 2025 la sagra della salsiccia vince
La TOP 5 è tutta al maschile e nella top 10 si possono scorgere solo i nomi di Giorgia e dei Comacose (se vogliamo allargare un pó lo sguardo). In una settimana in cui abbiamo sentito ripetutamente “sei bellissima” o “si na pret” ogni volta che si esibiva una artista, insomma, qualche domanda in più me la fa fare.
2. Viviamo in delle bolle e un palco come Sanremo può dare visibilità
Viviamo in delle bolle che non comunicano e Lucio Corsi è sembrata una novità portata da un tenero sconosciuto e sinceramente è stato cosi anche per me. Da quando ho ascoltato la sua canzone a Sanremo ho iniziato a tifare un po per lui ma fatto sta che già in molte e molti conoscevano la sua arte, senza contare la partecipazione nella serie Tv di Verdone “Vita da Carlo”. Non un perfetto sconosciuto insomma, la dimostrazione che moltissimi artisti non hanno visibilità e un palco come Sanremo può fare la differenza.
3. Questa edizione è piaciuta ai molti perché non si è parlato di politica
Quello che vale per Lucio Corsi, si può applicare anche al tema principale del perché questo Sanremo è piaciuto: la politica. In tutta la settimana di festival si è cercato di non parlare di politica e di anestetizzare qualsiasi dibattito. Gli unici temi a cui si è data visibilità sono stati quelli di interesse per chi Governa e sono stati portati avanti con una specifica chiave narrativa.
Eppure anche per questo il festival è piaciuto a molti spettatori che non hanno esitato a scagliarsi o “a vedere male” persone come Gerry Scotti (che si è dichiarato antifascista), Elodie (che rispondendo a una domanda ha affermato che non avrebbe mai votato la Meloni), Benigni e Geppi Cucciari (per i loro monologhi). Il tutto mentre molti esponenti di destra, anche al Governo, postavano sui social inni di amore verso un “festival finalmente ritrovato e come deve essere” o in cui strumentalizzavano quello che accadeva (fatti un giro sul profilo di Pillon).
4. Dai su, basta parlare dei giovani in questo modo
Nel palco più importante dell’anno quindi non si può parlare di Politica e si fa ora fatica a capire dove se ne può parlare, poi si lamentano che i giovani non si interessano più di politica. Al di la di questo luogo comune però non dovrebbero passare inosservate tutte quelle attività portare avanti da campagne come quella sul Referendum sulla cittadinanza che hanno provato a riportare la politica a Sanremo coinvolgendo le e gli Artisti sul prossimo argomento che a breve incendierà il dibattito politico.
Ed è anche per questo che ho trovato il discorso di Alberto Angela un po’ anacronistico e un po’ paternalistico. Il suo invito alle “giovani generazioni ad avere speranza nel futuro” ha un pó stonato mentre arrivava alle mie orecchie. In un festival in cui non so può parlare di politica, quella roba li che ci aiuta proprio a costruire il nostro futuro, mi è sembrata una pacca sulla spalla dei “giovani” mentre ti sussurrano: stringi i denti su, ci siamo passati tutti. Potremmo poi parlare del luogo comune che vede gli stessi giovani disinteressati, quando in realtà ci sono moltissime esperienze (come quelle del Referendum sulla cittadinanza o degli Stati generali per l’azione per il clima) che lavorano quotidianamente per crearsi autonomamente spazi di ascolto e dialogo per costruire il futuro del nostro Paese.
5. L’Hip-Hop non è morto (per fortuna) e ne abbiamo bisogno
Ti condivido un ultima cosa che mi ha insegnato questo Sanremo: la controcultura Hip-Hop continua a non essere capita in Italia.
Personalmente sono cresciuto nutrendomi di testi rap e della cultura urban. Non dico che sia semplice da comprendere o abbracciare e poi sicuramente ci sono persone e persone come ogni cosa. Non dico neanche che vadano per forza salvati tutti e tutte. Durante questo Sanremo ho tifato affinché persone come Willie Peyote, Shablo, Joshua, Tormento, Guè e Achille Lauro venissero compreso un po’ di più (anche al di la del mainstream). Per me l’Hip-Hop racconta quello che vedi nelle strade e nei quartieri. Certo non sempre quello che vediamo può piacere ma spesso è quello che accade. In molti casi sono storie di vissuti personali lontani dagli occhi dei “centri” su cui tutte e tutti volgiamo la nostra attenzione. Forse è anche un po’ per questo che mi si scalda il cuore quando leggo Lauro parlare del mio quartiere quando cita una sua canzone nelle stories di questo Sanremo:
"Innalzato a morire su un colle, Trafitto nel costato a Vigne Nuove, Perito e intombato a Piazza Sempione
E Risorto da qualche parte li
A Montesacro.
Pe' i miei ragazzi, pe' sempre."
Roma, Achille Lauro
In una settimana in cui non si è potuto parlare di politica e in cui l’unico genere di protesta e di attacco allo status quo sembra essere proprio l’Hip Hop (ricordiamoci l’edizione passata) mi sento di citare Willie Peyote e dire:
Sanremo, grazie ma no grazie