Una bussola per "non lasciare indietro nessuno" nella crisi climatica
Spesso sentiamo parlare di transizione verde mentre non sappiamo come vengono spesi i finanziamenti messi a disposizione. Come possiamo assicurarci che questa transizione sia equa e inclusiva?
Nel 2019 per far fronte alla crisi climatica venne lanciato il “Green Deal Europeo”, una serie di iniziative e impegni politici per raggiungere obiettivi climatici al 2030 e al 2050, finanziare la c.d. transizione verde utile a raggiungere questi obiettivi e far si che questa transizione sia “giusta” senza lasciare nessuna e nessuno indietro (Leave no one behind).
Con il concetto di “transizione giusta” si intende un approccio equo e inclusivo durante il processo di cambiamento che dovrebbe portare a una società a zero emissioni nette. In altre parole, questo cambiamento non deve essere portato avanti aggravando le condizioni di vulnerabilità dei singoli o delle comunità marginalizzate e non deve aumentare le disuguaglianze sociali e territoriali.
Le risposte strategiche dell’Unione Europea alle crisi e i pericoli per una giusta transizione
Solo negli ultimi 4 anni ci siamo trovati a far fronte ad una pandemia e a un mondo dilaniato dalle guerre. In particolare per l’Europa l’invasione della Federazione Russa ai danni dell’Ucraina ha significato dover affrontare una crisi energetica conseguente alla volontà di rompere la propria dipendenza energetica dalla Russia.
In particolare l’Unione europea ha integrato il NextGenerationEU, il programma di finanziamenti che ha dato vita al PNRR, con la strategia “REPowerEU” che segue logiche di natura geopolitica e, in particolare, geoeconomica ponendosi tre obiettivi:
risparmio energetico;
accelerazione della produzione di energia rinnovabile;
diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico grazie a paesi partner Extra-UE.
In Italia il REPowerEU è diventato parte integrante del PNRR attraverso la missione 7, la quale si compone di 22 misure e vede in dotazione un importo complessivo pari a 11 miliardi di euro. Tra le misure possiamo distinguere 5 riforme e 17 investimenti. I pacchetti di riforme sono fondamentali per comprendere quella che sarà la fase di “post-recovery”. Infatti spesso ci dimentichiamo che l’Italia e l’Europa non smetteranno di esistere dopo il 2026, anno entro cui si concluderà il PNRR. Le riforme infatti dovrebbero cambiare alcuni assetti del Paese al di là dei finanziamenti e in particolare si prevede di:
semplificare le procedure autorizzative per la diffusione delle energie rinnovabili attraverso un testo unico;
ridurre i sussidi ambientalmente dannosi (SAD) riportati nel catalogo annuale pubblicato dal MASE seguendo un processo di “ampia consultazione” degli stakeholders con un primo obiettivo di ridurre tali sussidi nel 2026 e a definire un percorso di ulteriore graduale riduzione fino al 2030;
diminuire i costi di connessione alla rete del gas per gli impianti di produzione di biometano;
mitigare il rischio finanziario associato ai Power Purchase Agreements;
rafforzare le competenze necessarie per la transizione verde nel mercato del lavoro.
Per quanto riguarda gli investimenti occorre invece fare una premessa.
Le norme istitutive del NextGeneratioEU e del capitolo REPower fanno forte riferimento al Green Deal e agli atti normativi da esso derivati. Nel Deal viene riconosciuta la partecipazione attiva di cittadine e cittadini quale aspetto fondamentale nell'elaborazione e attuazione delle politiche climatiche affinché queste siano in grado di non aggravare disuguaglianze e marginalizzazioni, creare partnership tra tutte le parti sociali e le istituzioni, e migliorare la qualità della scelta pubblica su questi temi. In breve, il Green Deal recepisce quei numerosi atti internazionali, di soft e hard law, che riconosco il diritto fondamentale di tutte e tutti a partecipare ai processi decisionali in materia di ambiente e clima. Un diritto fondamentale che permetterebbe di comprendere l’impatto di investimenti, programmi e singoli progetti attraverso esperienza di monitoraggio civico e che eviterebbe di esporre il percorso verso la transizione verde al rischio di “Policy Capture”, il rischio che tali politiche siano orientate a interessi particolari (le cd. Lobby) anziché ad interessi generali e diffusi.
Non è quindi un caso che lo stesso regolamento istitutivo del dispositivo di ripresa e resilienza faccia propri questi principi e prevede, tra gli altri, il coinvolgimento delle parti sociali nelle fasi di redazione e modifica dei PNRR. Cosa che, come raccontato nel report dell’Osservatorio Civico PNRR, è avvenuta con le principali società dell’energia partecipate dallo Stato e non con le organizzazioni della Società civile. A ciò si aggiunge che forse c’è un motivo se il Ministero dell’Ambiente è stato denominato “Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica”.
Alcuni nodi problematici tra gli investimenti del REPowerEU
Tornando a prima della premessa, i 17 investimenti previsti nell’ambito del REPowerEU sono pensati con l’intento di rafforzare l’autonomia energetica e, per questo, sono stati inseriti sulla base di ragionamenti strategici di sicurezza energetica. Questi investimenti vengono ricondotti a tre capitoli tematici: 1. le Reti elettriche; 2. la Transizione verde e l'efficientamento energetico degli edifici; 3. la competitività del sistema economico italiano e le filiere dell’energia rinnovabile e dell’idrogeno.
Per quanto riguarda il primo capitolo tematico è possibile notare che sono rientrati progetti che erano già da anni nei piani strategici delle singole imprese partecipate dallo Stato. Probabilmente l’idea era quella di utilizzare i finanziamenti per progetti “ready to use” e accelerare di conseguenza l’attuazione del PNRR. L’interrogativo che rimane è però quello di capire se questi progetti seguano o meno una logica “market driven” che rischia di escludere persone, comunità o territori dai benefici che potrebbero portare questi progetti. A suscitare preoccupazione è proprio la natura strategica del REPowerEU: nella relazione al parlamento si può leggere che “l’abbondanza di disponibilità di fonti di energia rinnovabili nel Sud Italia impone un continuo trasferimento verso il Nord del Paese, dove si concentrano i consumi e dove le interconnessioni con il resto d’Europa sono più strutturate”.
Per citare solo due casi, tra gli investimenti verranno finanziati due progetti di SNAM:
la fase 1 della gasdotto Linea Adriatica, in cui si prevede la costruzione della centrale di compressione di Sulmona e il gasdotto Sestino-Minerbio che collegherà il gasdotto già esistente tra Sulmona e Massafra in Puglia (qualcuno a tal proposito potrà ricordare le proteste nate relativamente alla costruzione del gasdotto TAP);
il potenziamento di Infrastrutture transfrontaliere per l'esportazione del gas, in particolare viene previsto il potenziamento dell'infrastruttura gas esistente che collega la stazione di compressione di Poggio Renatico al punto di uscita di Tarvisio in Friuli Venezia Giulia, consentendo l’esportazione verso l'Europa Centro Orientale.
Su entrambi i progetti la stessa Commissione europea ha ritenuto che ci fossero le condizioni per applicare la deroga che prevede la disapplicazione del principio “non arrecare danni significativi" (Do Not Significant Harm - DNSH) agli obiettivi ambientali e climatici dell’Unione europea sancito dal regolamento UE sulla Tassonomia Ambientale. Tutto questo perché la Commissione ha ritenuto che tali misure rispondono alle esigenze di diversificazione dell’approvvigionamento energetico nell’interesse di tutta l’Unione europea, anche se tali progetti non sono ritenuti in linea con la “transizione verde”.
Per passare ad un altro aspetto problematico, occorre evidenziare che tra le norme del PNRR sussiste un obbligo di dover contribuire al raggiungimento degli obiettivi climatici con almeno il 37% dei finanziamenti messi a disposizione. Complessivamente l’attuale dotazione del Piano, pari a 194,4 miliardi, contribuisce al tag climatico con 75,9 miliardi, ossia con il 39% delle risorse (prima della modifica era pari al 37,5%). In questo caso è bene notare che il rapporto della dotazione nelle singole missioni non è 1 a 1: ad esempio degli attuali 55,5 miliardi destinati alla missione 2 solamente 43,6 miliardi (pari al 78,6%) contribuiscono al tag climatico. A tal proposito la nuova missione REPowerEU prevede 11,2 miliardi e contribuisce al tag climatico con 7,6 miliardi (pari circa al 68%). Sicuramente è curioso come solo una parte, anche se consistente, della missione REPower contribuisca al tag climatico considerando che dovrebbe nascere proprio a tale scopo.
Di questo e molto altro ne abbiamo parlato nell’evento promosso da Recommon e Bankwatch l’11 marzo:
Come curare le fragilità del Green Deal?
Nella scorsa lettera vi ho raccontato alcune delle mie paure rispetto al green deal alla vigilia delle elezioni europee, ma allo stesso tempo non possiamo rimanere inermi.
Come società civile, sia in forma organizzata, sia come singoli, abbiamo la possibilità di curare le fragilità della nostra società cercando di occupare e presidiare ogni singola apertura. Richiedere costantemente la tutela di un nostro diritto, ossia quello di poter partecipare ai processi decisionali e di poter sapere quello che sta accadendo attraverso maggiori standard di trasparenza, è fondamentale per cambiare obiettivi e modalità di attuazione delle future politiche o iniziative.
Anche se so che cambio argomento, ad esempio proprio grazie ai nostri continui sforzi è arrivato il via libera all’approvazione della direttiva in materia di due diligence delle imprese nel consesso del Coreper, grazie anche all voto a favore dell’Italia (la quale fino a poco tempo prima si era astenuta). Certamente si tratta di un testo di compromesso che depotenzia in modo forte la proposta iniziale. In particolare viene ridotto l’ambito di applicazione della direttiva in quanto la direttiva si applicherà alle imprese con 1000 dipendenti e un fatturato di almeno 450 milioni di euro (nel formulazione precedente si applicava alle imprese con 500 dipendenti e un fatturato di 150 milioni di euro). A ciò si aggiungono le parole della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la quale attraverso una nota stampa di Palazzo Chigi ha affermato : “Abbiamo dimostrato che oggi a Bruxelles c’è un’Italia che non si arrende a soluzioni che penalizzano la nostra industria, ma che è capace di continuare a negoziare fino alla fine in maniera decisa, facendo valere la bontà dei propri argomenti, valorizzando le nostre eccellenze e riuscendo a modificare sostanzialmente il risultato finale”.
Eppure la direttiva segna un passaggio storico poiché permetterebbe di poter costruire una base di partenza su cui poter tutelare i diritti umani, l’ambiente e il clima dalle violazioni delle imprese. Insomma al momento non c’è nulla del genere in Italia e, tenendo in conto il famigerato Piano Mattei sullo sfondo, conquisteremo centimetro dopo centimetro affinchè il Green Deal possa rappresentare una proposta concreta per un futuro equo per tutte e tutti, anche fuori dai confini dell'Unione europea.