Chi decide per le generazioni future? Democrazia, diritti e crisi climatica
Chi decide oggi plasma il futuro, ecco una lettera sui diritti delle generazioni future e la crisi climatica
Dai tempi dell’università c’è una frase che un professore pronunciò e che da allora si nasconde tra i miei pensieri pronta a saltare fuori da un momento all’altro: “le giovani generazioni sono i Panda degli esseri umani”.
Ovviamente non perché le giovani generazioni siano pigre, svogliate, siano sempre in bagno per colpa dei problemi di digestione, abbiano bisogno di aiuto per “fare all’ammore” o perché ce la mettono tutta per estinguersi come direbbe Barbascura X. Semplicemente perché le giovani generazioni in Italia sono un numero irrisorio che tende all’estinzione.
Negli anni mi sono sempre interrogato su cosa potesse significare tutto questo ma con il passare del tempo ci sono sempre più domande e meno risposte. Per quelli come me nati nel 1996 il discorso generazionale sembra più una scusa per catalogarci che un discorso di senso. Un giorno sei dalla parte dei Millenials, il giorno dopo in quella della Gen Z, in entrambi i casi però sei sempre fuori posto.
La verità forse è che siamo solo una generazione di transizione, con tutti i pregi e le difficoltà che ciò può comportare. In ogni caso, di recente ho deciso di scrivere un contributo per il CeSPI per mettere qualche primo punto di partenza sul discorso relativo alle generazioni future.
Il futuro come spazio politico: perché le generazioni future contano anche oggi
Abbiamo l’abitudine di pensare implicitamente che il tempo scorra in modo lineare, neutro e predeterminato. Questa percezione è fortemente influenzata da una visione classica del pensiero occidentale secondo cui “i figli” fossero destinati a pagare le colpe dei “padri”.
Ovviamente sto semplificando ma uno dei sensi profondi di questa affermazione stava nel fatto che il tempo degli dei era diverso da quello dei mortali e che ogni offesa a loro poteva essere vendicata sui discendenti.
Il futuro non è uno spazio neutro: è uno spazio di contesa politica, sociale ed etica tra i diversi soggetti nelle generazioni presenti e chi non è ancora nato. Il problema qui è che il futuro in cui queste generazioni future nasceranno è costantemente plasmato da scelte, omissioni e visioni che le generazioni presenti assumono nel tempo che abitano.

Democrazia a tempo determinato: chi rappresenta chi verrà?
L’ideale democratico viene poche volte messo in discussione ma occorre essere onesti e prendere coscienza di quelli che possono essere rischi e limiti. In particolare la democrazia rappresentativa è una forma di governo che scarsamente riesce a tenere in conto gli interessi delle giovani generazioni e ancor meno quelle delle generazioni future.
Perché succede questo? La democrazia rappresentativa si basa sul concetto che chi ha il diritto di votare trasferisce il proprio potere decisionale a dei rappresentati per essere governati. I due principali problemi sono che non tutti hanno sempre il diritto di voto e che spesso il rituale democratico si esaurisce con campagne elettorali dove chi corre alle elezioni cerca di proporre un programma per convincere a votare il maggior numero di persone. Insomma, difficilmente leggeremo un programma elettorale che parli agli interessi di chi non è ancora nato o di chi non può votare.
Come se non bastasse, la decisione o meno di rispondere ai problemi collettivi può avere effetti anche su chi non era tra quei molteplici portatori d’interesse che ha partecipato alla formulazione di una politica pubblica (tipo le generazioni future che devono ancora nascere). Ciò diventa un aspetto più critico alla luce del difficile rapporto che intercorre tra democrazia e crisi climatica: la natura globale dei cambiamenti climatici, la vulnerabilità delle politiche climatiche all’influenza di interessi privati, la disuguaglianza nella distribuzione dei rischi climatici e la tendenza delle democrazie a privilegiare obiettivi a breve termine rispetto agli interessi futuri.
Il paradosso della non-identità: l’impatto delle decisioni su chi non esiste ancora
Immagina ora di trovarti negli anni ‘70 e che stai per andare a votare. Nei mesi precedenti la campagna elettorale si è concentrata molto sul futuro del paese, dei nostri figli e delle nostre figlie e che servirebbe migliorare la politica industriale anche attraverso un importante investimento petrolifero.
Il tuo voto, insieme a quella di molti altri, orienterà il futuro del Paese e contribuirà a determinare il modello economico dei prossimi anni. Ti trovi però ad affrontare quello che viene chiamato “paradosso della non-identità”: la tua decisione potrebbe danneggiare il tuo ipotetico figlio del futuro ma allo stesso tempo la sua stessa esistenza e identità sarà determinata dal contesto che tu avrai contribuito a creare con quella scelta.
Il problema in questo caso è che però ti mancano le informazioni adeguate per poter prendere quella scelta e che a tutti i livelli della società si è convinti che quello sia il futuro più giusto. Proprio in quegli anni ExxonMobil, una delle più grandi compagnie petrolifere del mondo, aveva in mano previsioni esatte sull’innalzamento delle temperature e dei rischi della mancata riduzione delle emissioni da combustibili fossili. Senza contare che magari un figlio neanche lo vuoi e che in quel momento ti interessa solamente del tuo futuro personale.
Quel voto – inconsapevole o meno – ha aiutato a costruire il mondo in cui sono cresciute persone come me, nate nel 1996. Gli effetti li stiamo vedendo sempre più spesso, se non li ricordi ti basta pensare alle alluvioni che hanno colpiti le persone che vivono in Emilia-Romagna, in Toscana o in Piemonte. Se non prendiamo l’uscita di emergenza da questa rotta infame gli impatti saranno sempre più violenti, in che mondo nascerà una persona del 2050 e come sarà quando nel 2080 avrà trent’anni?

Italia, una democrazia che invecchia
Non vorrei semplificare troppo perché le dinamiche di voto sono complesse ma credo che si possa dire che siano influenzate da aspetti culturali, accettazioni socialmente condivise su determinati temi (almeno per schieramenti) e infine da chi può effettivamente votare (al di là dell’astensionismo).
Da questo spunto di riflessione ho deciso di scaricare i dati pubblici dal portale ISTAT e di analizzarli con l’aiuto del mio assistente di intelligenza artificiale. In un ottica di co-generazione ogni passaggio è stato verificato, corretto e rielaborato da una persona in carne e ossa (il sottoscritto) senza alcuna pretesa di scientificità. Volevo solo offrirti una chiave di lettura personale per restituire un punto di vista e stimolare una riflessione collettiva, pacifica e costruttiva. Personalmente, inoltre, non credo che la classificazione “mainstream” delle generazioni sia aderente alla realtà ma può aiutarci a fare queste riflessioni (poi se ti interessa questo tema scrivimelo nei commenti, in futuro mi piacerebbe parlarne).
Il “peso” delle generazioni al voto durante le elezioni
Analizzando i dati sulla popolazione residente in Italia a gennaio 2025, ci accorgiamo che la Gen X (1965-1980, 14.7 milioni) e i Boomers (1946-1964, 13.4 milioni) costituiscono il 48% della popolazione e detengono la maggiore capacità di rappresentanza politica. Seguono i Millenials (1981-1996, 10.8 milioni) e la Gen Z (1997-2012, 9.5 milioni) che insieme costituiscono il 34% della popolazione, mentre il futuro demografico del Paese è rappresentato dalla Gen Alpha (2013-2025, 5.9 milioni) che costituisce il 10% della popolazione.
Però non tutti votano o riescono a farlo! Tutta la Gen Alpha è minorenne, mentre un terzo della Gen Z deve ancora compire la maggiore età. Complessivamente ben il 15% della popolazione viene quindi esclusa dal rituale democratico delle elezioni per motivi formali.
A questi però andrebbero sommati tutti quei giovani in transizione verso l’età adulta (o che sono “giovani vecchi” come me) che non possono votare perché ormai vivono in una regione diversa da quella in cui hanno la residenza essendosi spostati per studio, lavoro o per amore. Questa popolazione dovrebbe arrivare a circa 3 milioni di persone secondo il report di The Good Lobby “Fuori Sede al voto”. Al conteggio, ovviamente, vanno aggiunti tutti quei residenti in Italia ma che però ancora non gli viene riconosciuta la cittadinanza seppure siano nati e cresciuti nel Paese. Nel Libro Bianco degli Stati Generali dell’azione per il clima si stimano essere circa 2 milioni. La stima degli esclusi al voto pertanto oscilla tra il 15 e il 20% della popolazione residente.

Rappresentanza politica e generazioni future: il vuoto da colmare
Ho preferito parlare di generazioni in questo caso perché ognuna ha un percorso di apprendimento differente che è dovuta anche al contesto in cui cresce. Se la sensibilizzazione su determinate tematiche è diverso dipende, seppur in parte, anche dai percorsi scolastici (non credo che i boomers parlavano di crisi climatica alle superiori), dagli eventi storici che hanno vissuto e dalle stesse famiglie in cui sono cresciuti. Da li in poi credo subentri anche l’esperienza personale e il modo personale in cui la interpretiamo.
Fatto sta che la bilancia demografica al netto del diritto di voto fa si che i Millennials e Gen Z siano numericamente meno importanti per i programmi elettorali. Solo il 25% di loro potenzialmente può o riesce a esercitare il proprio diritto di voto, anche perché sono in una fase fondamentale della loro transizione in cui sono ancora in ballo con studio e lavoro o in procinto di prendere decisioni importanti che potrebbero determinare il luogo in cui stabilirsi. Al contrario Gen X e Boomers, essendo ormai in una fase molto più definita e occupando il 48% della popolazione residente, rappresentano di certo un gruppo sociale molto più partiticamente interessante.
Dalle parole ai diritti: strumenti per tutelare le generazioni future
Le sfide del presente purtroppo non si esauriscono qui e ora, anzi il rischio è che ogni inazione climatica o violazione dei diritti umani diventi una ferita profonda nel futuro.
Anche il diritto internazionale ha iniziato a riconoscere l’importanza di una prospettiva intergenerazionale che spetta a tutte e tutti noi rendere sempre più concreta. Le decisioni che assumiamo, le politiche che adottiamo – o trascuriamo – producono effetti che travalicano il presente, incidendo profondamente sulle vite di chi verrà.
Diritti umani, crisi climatica e generazioni future sono un problema di giustizia climatica
Il recente “Patto per il futuro” approvato dalle Nazioni unite nel settembre 2024 ha riconosciuto che le azioni e le omissioni delle generazioni attuali hanno un effetto moltiplicatore intergenerazionale. Ciò non è del tutto nuovo e il principio di equità intergenerazionale è stato approfondito da diversi atti internazionali, tra cui tutti quelli che fanno riferimento al principio dello sviluppo sostenibile come la stessa Convenzione quadro delle nazioni unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).
Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo con il caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz c. Svizzera, riconoscendo la violazione degli obblighi discendenti dalla CEDU, ha affermato che è chiaro che le generazioni future sopporteranno un onere sempre più gravoso delle conseguenze delle attuali mancanze e omissioni nella lotta ai cambiamenti climatici. La stessa Corte evidenzia che in una prospettiva intergenerazionale vi è un rischio insito nei processi decisionali, democratici e politici, che gli interessi e le preoccupazioni del breve termine possano prevalere a scapito di esigenze pressanti di definizione di politiche più sostenibili e di lungo periodo in favore delle future generazioni.

Immaginare il futuro
In ogni caso non basta riconoscere i diritti se non costruiamo le opportune condizioni per realizzarli. Da un lato occorre garantire l’effettività dei diritti politici, a partire dal voto per chi vive lontano dal proprio comune e da una riforma della cittadinanza più giusta e inclusiva (ricordati che l’8 e il 9 giugno c’è un referendum proprio su questo!). Dall’altro, dobbiamo promuovere processi in grado di approfondire le odierne democrazie e immaginare istituzioni capaci di dare voce a chi oggi non ne ha: le future generazioni, le persone escluse o sotto rappresentate, i soggetti maggiormente esposti ai rischi delle crisi multiple in corso.
Future Design e approcci intergenerazionali: come progettare per le future generazioni?
Esistono esperienze come l’Ombudsman per le Generazioni Future in Ungheria, il commissario per le future generazioni del Galles e il forum scozzese per il futuro. L’idea è quella di avere istituzioni capaci di svolgere una funzione di coordinamento per formulare, valutare e implementare politiche in ottica intergenerazionale anche attraverso approcci come il Future Design e la valutazione di impatto generazionale delle leggi.
In un’epoca attraversata da crisi ambientali, disuguaglianze croniche e democrazie in affanno, le generazioni future non sono solo una proiezione del domani, ma il soggetto politico più vulnerabile del nostro presente. Abbiamo bisogno di un nuovo patto intergenerazionale, basato non sul conflitto né sulla colpa, ma su una contrattazione solidale fondata sulla responsabilità condivisa e su una rappresentanza più equa del futuro nei processi decisionali. Un patto che sia anche un gesto di cura, di amore politico, verso chi erediterà questo pianeta e verso noi stessi che vivremo mentre glielo consegneremo.
Questa lettera è solo un inizio. Se ti ha fatto nascere domande, visioni o anche solo dubbi, scrivimi nei commenti. In quello che scrivo manca il tuo punto di vista e ogni voce può aiutarci a immaginare un futuro desiderabile attorno a cui costruire una comunità. Raccontami come immagini un futuro diverso e iscriviti per continuare la conversazione!
Se vuoi contribuire a migliorare la comunicazione su cambiamenti climatici, partecipa a questa ricerca promossa da Large Movements APS!