Il futuro della politica climatica europea alla prova delle elezioni
Dal 6 al 9 giugno si voterà per rinnovare il Parlamento europeo che sceglierà la nuova Commissione. In questo clima di campagna elettorale emergono i primi rischi per la politica climatica europea?
Leggendo le ultime notizie sull’inquinamento dell’aria, lo stato di salute del nostro pianeta e in generale sul dibattito pubblico relativo ai cambiamento climatici, sono stato preso dallo sconforto.
Era la fine del 2019 quando la neo-presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen presentò il Green Deal Europeo, un piano ambizioso costituito da una serie di iniziative ed impegni politici volti a “trasformare l’UE in una società giusta e prospera, dotata di un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva”. Molto brevemente, il Green Deal stabiliva gli impegni della Commissione ad affrontare i problemi legati al clima e all’ambiente, riconoscendo la lotta ai cambiamenti climatici come “il compito che definisce la nostra generazione”.
Il Green Deal sarebbe dovuto essere l’espressione del risultato delle scorse elezioni, dove i partiti ambientalisti ottennero ottimi risultati durante un’ondata di preoccupazione pubblica sul clima, grazie anche alla spinta di giovani attiviste e attivisti. Solo così fu possibile creare un'alleanza tra i Verdi e il centro-destra moderato che portò all’elezione dell’attuale presidente della Commissione. Insomma, la speranza era in un cambio di passo per quanto riguarda le politiche climatiche dell’Unione europea e dei suoi stati membri.
Da allora però molto sembra essere cambiato e nel corso di pochi anni abbiamo vissuto ben due crisi, una pandemica e una energetica, e sono divampati altrettanti conflitti che erano fuori dall’inquadratura dei media (l’invasione dell’Ucraina e il genocidio del popolo palestinese solo per citarne alcuni). A ciò si aggiunge che i risultati del Green Deal forse non sono stati molto soddisfacenti anche a causa dei diversi interessi politici in gioco.
Vento e veleno da campagna elettorale
La stessa Presidente della Commissione europea nella conferenza stampa del 21 febbraio sembrerebbe aver abbandonato i suoi propositi per il clima ed essere tornata nella sua veste di ministro della difesa (incarico che ha ricoperto nella Repubblica Federale Tedesca dal 2013 al 2019) mentre delineava i punti cardine per la sua candidatura per un secondo mandato. La strategia presentata durante la conferenza stampa è stata efficacemente riassunta così: “produrre armi come i vaccini durante il Covid”. La proposta della Von Der Leyen sarebbe quindi quella di “rafforzare la democrazia dell’Europa in modo che i cittadini sappiano che all’interno dell’Unione Europea c’è sicurezza e protezione per loro” attraverso il “consolidamento della nostra base industriale della difesa”.
L’intento sarebbe quello di giungere a una strategia sulla difesa comune con un ruolo centrale nell’agenda UE nello stesso modo in cui ha funzionato il Green Deal durante questo mandato con lo scopo, tra gli altri, di aumentare gli acquisti congiunti di armi e di coinvolgere sempre più risorse verso la ricerca e la produzione bellica.
>Driin Driin
>Pronto? Si certo, riferisco.
Rieccomi, dalla regia dicono che il Conflict and environment observatory denuncia che il comparto bellico globale produce il 5,5% delle emissioni climalteranti. Se fosse uno Stato, sarebbe preceduto solo da Cina, Stati Uniti e India. Questo senza contare morti e feriti causati dalla guerra ovviamente.
Sullo sfondo e con il “favore delle tenebre” il leader del PPE Manfred Weber, politico tedesco del partito tedesco dell’Unione Cristiano Sociale (CSU) vicino al partito dell’Unione Cristiano Democratica (CDU) di cui fa parte la presidente della Commissione, sta lavorando da tempo per riformulare il Green Deal rompendo l’asse del centrosinistra e verdi per costruire una visione del centrodestra della strategia grazie all’appoggio dei conservatori e sovranisti, tra cui i partiti di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Marine Le Pen. Non sembrerebbe un caso quindi la recente dichiarazione di sostegno al rinnovo del mandato della Von Der Leyen da parte di Antonio Tajani, attuale Ministro degli esteri e leader di Forza Italia.
Il lento naufragio del Green Deal Europeo
Il clima da campagna elettorale sembrerebbe aver fatto sentire i propri effetti già in questi ultimi mesi di mandato europeo e l’ala conservatrice euroscettica potrebbe sentirsi forte del possibile aumento della propria rappresentanza a fronte di una perdita di influenza dei partiti storicamente europeisti e più favorevoli all’azione per il clima.
Tra le prime vittime del clima da campagna elettorale possiamo contare il voto del Parlamento europeo sull’estensione delle norme della direttiva per le emissioni industriali agli allevamenti bovini, responsabili di elevate quantità di emissioni di metano, la bocciatura delle norme sui pesticidi, oltre che l’annacquamento delle misure in materia di ristrutturazione degli edifici e, proprio in questi giorni, delle norme sugli imballaggi. Allo stesso modo tutti i testi annunciati nell’ambito della strategia “Farm to Fork” (il corollario agricolo del Green Deal) sono tutti spariti o quasi.
In ogni caso si è sempre registrato lo “zampino” del PPE, mentre nell’ultimo caso l’assist sembrerebbe essere stato servito dalle proteste degli agricoltori. Certamente ha lasciato molto discutere come molte proteste negli ultimi mesi siano finite con manganellate e violenze, mentre questa protesta ha avuto anche visibilità durante Sanremo (ricordiamo che è stata l’edizione con lo sharing più alto dal 1995). Forse in molti si sono inteneriti perchè incalliti collezionisti dei modelli di trattore che vendono a uscite in edicola ma sicuramente abbiamo perso l’occasione di riflettere sui nostri sistemi alimentari (qui vi segnalo un’interessante riflessione di Ferdinando Cotugno). Insomma, in questo periodo la “transizione verde” tante volte messa al centro nei dialoghi istituzionali non sembrerebbe essere così urgente in vista delle elezioni.
Al momento tra le vittime illustri vi è inoltre la proposta di direttiva in materia di Due Diligence delle imprese (CS3D). Nell’ultima newsletter ho provato a raccontarvi a raccontarvi i giochi politici tra Italia e Germania con l’obiettivo di affossare una norma che obbligherebbe le imprese a dotarsi di politiche e comportamenti efficaci nel garantire che i diritti umani e gli ecosistemi non siano violati né dalle operazioni da loro direttamente intraprese, né all’interno delle catene di fornitura di cui si avvalgono a livello globale (giuro si tratta di una telenovela molto interessante, prendete i pop corn e recuperatela cliccando qui). Ebbene, al quadro sembrerebbe essersi aggiunta la Francia che con un cambio di passo opportunistico ha proposto un aumento di dieci volte delle soglie aziendali che definiscono il campo di applicazione della normativa, escludendo di fatto altre 14.000 imprese alle pochissime (circa lo 0,1% delle imprese europee) a cui il testo si riferiva. In poche parole, un dietrofront nei confronti della strategia e dei principi contenuti nel green deal europeo e un tradimento verso le prassi istituzionali dell’unione dato che il 14 dicembre scorso era stato raggiunto l’accordo nel Trilogo.
Recentemente, durante questo trambusto, ho indossato il mio scafandro e mi sono immerso nelle profondità del web per capire un po quali erano gli orientamenti de “La ggente” (personaggio mistico con cui tutti cercano di interloquire ma con cui sotto sotto tutti falliscono perché parlano a se stessi). La realtà è che in molti non hanno proprio informazioni a riguardo che gli permettano di poter esprimere un’opinione o di poter capire le possibili implicazioni di questa norma. Oltre a questa consistente frangia ci sono invece le polarizzazioni:
Chi è a favore dell’astensione italiana: “patriotticamente il nostro governo sta difendendo la sovranità italiana e il “Made in Italy” dall’ingerenza dell’UE e dalle sue normative troppo rigide e burocratiche”.
Chi è contrario all’astensione italiana: “stanno rovinando l’immagine dell’Italia in Europa e nel mondo, invece di collaborare per trovare soluzioni comuni il rischio è quello di vedere indebolita la nostra posizione negoziale sui diversi dossier dell’UE”.
Sul primo punto posso solo dire che in realtà le nostre piccole e medio imprese verrebbero maggiormente tutelate da fenomeni di concorrenza sleale e, anzi, le vedrebbe maggiormente favorite nella collaborazione con imprese più grandi rispetto ad aziende estere che non rispettano requisiti ambientali e sociali. Al momento il rischio è quello di rimanere con quadro normativo per le imprese che rischia di diventare sempre più frammentato a seconda del Paese in cui operano, fenomeni di concorrenza sleale da parte dei meno virtuosi e rischi di impunità per tutte quelle imprese che violano i diritti umani e devastano l’ambiente fuori dall’UE. Non tutto è perduto ed è ancora possibile salvare la CS3D e farla passare in parlamento. C’è una strada pratica e una più politica:
Gli Stati membri dell'UE hanno ancora delle perplessità, ma per molti di loro si tratta di preoccupazioni minori che possono essere affrontate con piccole modifiche al testo. I parlamentari europei possono includere queste modifiche nel voto finale in plenaria previsto per la fine di aprile.
La Presidenza belga del Consiglio potrebbe riunire gli Stati membri dell'UE per affrontare le preoccupazioni. In questo caso, anche per garantire l’integrità di futuri negoziati, gli Stati membri dell'UE devono impegnarsi in modo costruttivo, esprimere le loro preoccupazioni e lavorare per trovare una soluzione. Se poi ci riusciranno (o vorranno), questo è tutto da vedere.
Anche noi in questo caso possiamo fare la nostra parte e per chiedere con forza di approvare la direttiva e di riprendere i negoziati è stato lanciato questo appello che vi invito a firmare: https://www.appello-direttiva-dovuta-diligenza.it/firmare
Uno sguardo in avanti
L’UE è complessivamente è la terza maggiore emettitrice al mondo (responsabile del 7% delle emissioni annuali) e per questo riveste un ruolo fondamentale nel contrasto alla crisi climatica. Gli anni in cui la nuova Commissione europea si troverà a lavorare, nel ciclo 2024-29, saranno cruciali non solo per l’azione globale sul clima ma anche per raggiungere gli obiettivi che il blocco europea si è già dato, tra i quali quelli al 2030, sui quali bisognerà fare una valutazione a fine mandato. Proprio il prossimo mandato cade quindi in un periodo cruciale per cui con gli scienziati affermano che limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C richiede che le emissioni globali di gas serra raggiungano il picco prima del 2025 al più tardi e che siano ridotte del 43% entro il 2030. Insomma qualche preoccupazione dovremmo averla.
Il binomio “odio della burocrazia” e “cambiamenti climatici” mi ha un po’ ricordato il film “Shin Godzilla” di Hideaki Anno. Negli anni Godzilla ha assunto varie forme ma in questo caso è semplicemente una minaccia bruta e distruttrice causata dalle radiazioni atomiche, in un certo senso nasce per gli errori dell’uomo. L’intero film, intriso della cultura giapponese, vede proprio la burocrazia come la minaccia che tiene imbrigliato il governo, il quale quindi si dimostra inadeguato ad affrontare l’emergenza. Ecco, diciamo che come esseri umani abbiamo un rapporto complesso e ambiguo per cui spesso vogliamo delle regole ma allo stesso momento le soffriamo quando dobbiamo rispettarle. Si potrebbe inoltre entrare in un panegirico su cosa si intende per regole, quando si può dire che una specifica regola sia buona o meno, e altri commenti di questo tipo. Però mi sento di dire che questo “complesso della burocrazia” rischia di non farci valutare le singole questioni nel loro merito e nella loro urgenza, facendo si che perdiamo tempo nel combattere tra poli opposti mentre il caro Godzilla si fa sempre più grande all’orizzonte.
E voi che ne pensate di quanto sta accadendo in questo clima di elezioni europee? Scrivetemelo nei commenti!