La lotta per la giustizia climatica alla Corte europea dei diritti umani
I miti ci insegnano che le colpe dei padri ricadono sui figli e, oggi, questa catena di sfortune si manifesta nella crisi climatica. Forse però con il contenzioso climatico qualcosa si sta muovendo...
Le generazioni passate hanno sfruttato il pianeta senza curarsi delle conseguenze, lasciandoci un'eredità di inquinamento e gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici. Per questo motivo, è fondamentale rompere questa catena ed assumerci la responsabilità di tutelare l'ambiente per le generazioni che verranno.
In questa lotta per la giustizia climatica, un nuovo strumento sta emergendo: la "Climate change litigation", ovvero l'utilizzo di azioni legali per contrastare i cambiamenti climatici. Il 9 aprile 2024, la Corte europea dei diritti umani ha emesso una storica sentenza nel caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz contro Svizzera. In questo contesto è stato riconosciuto che la Svizzera ha violato l'articolo 8 della CEDU (diritto alla vita privata e familiare) non adottando misure sufficienti per tutelare i cittadini dagli effetti del cambiamento climatico.
II caso dovrebbe però invitarci a riflettere sulla necessità di un nuovo patto sociale tra generazioni per garantire un pianeta più giusto per coloro che subiranno gli effetti delle nostre scelte. In questa lettera cerco di lasciarvi quale spunto e qualche potenzialità di questa giornata che in ogni caso potrà essere definita “storica”
Complessi generazionali vecchi di secoli: quando i “debiti” dei genitori ricadono sui figlə
Facendo un pò di mente locale nella letteratura e nei suoi diversi generi, dalla narrativa a quella scientifica, si può dire che il rapporto tra genitori e figlie o figli è sempre stato abbastanza “complesso”, per non usare parole troppo drastiche.
Nel pensiero classico greco e romano della filosofia occidentale c’era una generale convinzione che “le colpe” o i “debiti” dei padri dovessero ricadere sui figli, provocando conseguentemente una tragica catena di eventi sempre più aspra che poteva travolgere diverse generazioni della stessa famiglia.
Insomma, le dee e i dei greci portavano parecchio rancore e ad esempio un personaggio illustre come Agamennone, il quale ha dovuto sacrificare la figlia Ifigenia per placare l’ira di Artemide durante la guerra di Troia per poi venire praticamente assassinato dalla moglie Clitemnestra al suo ritorno in patria, stava semplicemente scontando le colpe di Tantalo, che a sua volta tre generazioni prima aveva recato offesa al pantheon greco dandogli il proprio figlio Pelope come pasto per testare la loro onniscienza.
In un certo senso questo concetto ha profondamente caratterizzato il cosiddetto “pensiero occidentale” e, in particolar modo, le culture che si affacciano nel mediterraneo. Non è un caso, quindi, che parole molto simili possono essere trovate nei libri dell’esodo e del levitico nell’antico testamento della bibbia cattolica. In ugual modo, un esempio può essere ritrovato nel 33° canto dell’inferno di Dante dove, parlando del conte Ugolino e della morte dei suoi figli per colpa sua, il sommo Poeta scaglia una violenta invettiva dai toni apocalittici contro la malvagità dei Pisani (si, proprio gli abitanti di Pisa) e dell'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini.
Si potrebbe avere una “giusta” storia infinita?
Queste storie che ho provato brevemente ad accennarvi enfatizzano, in un modo certamente drammatico, la continuità che esiste tra le generazioni, ossia quella macro storia in cui “noi” non siamo altro che il prolungamento della storia di chi ci precede e l’antefatto della storia di chi verrà dopo.
Per questo è fondamentale parlare di “equità” tra generazioni intendendo attraverso questo concetto la necessità di riportare i concetti di “giustizia” alle esigenze di un rapporto intergenerazionale tra “pari” che però coesistono nello stesso tempo solamente per un breve momento.
Il concetto di “equità intergenerazionale” trova una definizione completa ed ampia nel diritto internazionale attraverso la Dichiarazione UNESCO sulle responsabilità delle generazioni presenti verso le generazioni future del 1997. La dichiarazione nel preambolo riconosce il fatto che sfide cruciali come l’estrema povertà, le discriminazioni o i danni all’ambiente costituiscono una minaccia sia per le generazioni presenti e che per quelle future.
Con specifico riferimento alla tutela dell’ambiente si afferma, inoltre, che le generazioni presenti hanno la responsabilità di trasmettere alle generazioni future una terra tale da non essere danneggiata irrimediabilmente dalle attività umane e che dovrebbero, prima di realizzare qualsiasi progetto di rilievo, prendere in considerazione le possibili conseguenze per le generazioni future al fine di evitare il degradamento della qualità e dell’integrità ambientale che rischierebbero di mettere in pericolo la loro salute o l’esistenza stessa. Anzi, le generazioni presenti non dovrebbero proprio intraprendere nessuna attività che potrebbe avere l’effetto di generare o perpetuare una qualsiasi discriminazione nei confronti delle generazioni future.
La dichiarazione però non è un caso isolato e moltissimi atti internazionali adottano una prospettiva temporale orientata al futuro, la stessa Carta delle Nazioni unite afferma “We the peoples of the United Nations determined to save succeeding generations from the scourge of war”. Poi come sappiamo “tra il dire e il fare” è sempre un pò la pratica che frega, in particolare quando si parla di cambiamenti climatici.
In questo ambito però, soprattutto negli ultimi venti anni, si è sviluppata la necessità di riflettere sulle possibilità di tutela per i diritti facenti capo alle generazioni future perché, come affermato nel General Comment n.36 del 2018 del Comitato ONU dei diritti umani, il degrado ambientale, il cambiamento climatico e lo sviluppo non sostenibile costituiscono alcune delle minacce più gravi alla capacità delle generazioni presenti e future di godere del diritto alla vita. Vi ricorda qualcosa quella storia infinita per cui i “discendenti” scontano pene sempre più pesanti per una colpa o un debito di chi viene prima?
Alla ricerca dell’equità perduta in Europa: i casi Duarte Agostinho, Carême e Verein KlimaSeniorinnen Schweiz
Recentemente, sulla base di questa presa di coscienza a livello internazionale, ha assunto un ruolo significativo la cosiddetta “Climate change litigation”, conosciuto anche come contenzioso climatico basato sui diritti umani. Con questo termine si racchiudono tutte quelle azioni legali intentate per affrontare i cambiamenti climatici con diversi obiettivi:
Spingere i governi e le imprese ad agire con maggiore urgenza
Ottenere risarcimenti per le persone e le comunità che hanno subito danni a causa dei cambiamenti climatici
Sviluppare la giurisprudenza sui cambiamenti climatici e sui diritti ad essi connessi
Aumentare la consapevolezza sui cambiamenti climatici e sulle loro conseguenze
Promuovere la giustizia climatica garantendo che tutti gli attori abbiano responsabilità e un ruolo nell’azione per il clima
Quanto accaduto il 9 aprile dinanzi alla Corte europea dei diritti umani è pertanto un fatto storico e di assoluta rilevanza, soprattutto perché è la prima volta che viene sottoposta all'attenzione dei giudici di Strasburgo la questione della crisi climatica.
Occorre in primo luogo notare che nella Convenzione europea per i diritti dell’uomo (la c.d. CEDU) non è stato codificato il diritto umano a un ambiente sano ma ciò non ha impedito alla Corte, di valorizzare il legame simbiotico tra ambiente e diritti umani attraverso più di 300 sentenze e decisioni in materia ambientale. Anzi si può dire che l’intero sistema convenzionale ha recepito la necessità e l’esigenza di colmare quello che di fatto è un vuoto.
In particolare, la Corte europea, attraverso un consolidato filone giurisprudenziale, ha riconosciuto la tutela dell’ambiente quale valore fondamentale utile per raggiungere un più equo bilanciamento dei diritti garantiti dalla Convenzione. Ciò è stato possibile attraverso una tecnica interpretativa adoperata dai Giudici della Corte secondo cui, alla luce dell’oggetto e dello scopo della Convenzione, tutti gli Stati contraenti non devono solo astenersi dall’interferire con i diritti sanciti dalla Convenzione oltre i limiti da essa tracciati, ma devono altresì adottare tutte le misure appropriate al fine di salvaguardare ed assicurare l’effettivo godimento di tali diritti in modo tale da non renderli “teorici o illusori”. Detto tra noi, lo scopo è quello di rendere concreti questi diritti e non solo “belle parole”.
Il 9 aprile la Corte ha emesso due decisioni e una sentenza sui casi Duarte Agostinho, Carême e Verein KlimaSeniorinnen Schweiz.
Duarte Agostinho e altri c. Portogallo e 32 altri (n. 39371/20)
La particolarità del caso “Duarte” è che i ricorrenti sono sei cittadini portoghesi nati tra il 1999 e il 2012 che hanno attribuito a 32 stati europei, tra cui l’Italia, la responsabilità della violazione dei propri diritti a causa degli effetti presenti e futuri del cambiamento climatico poichè hanno intrapreso politiche insufficienti.
Nello specifico le ondate di calore, gli incendi e il fumo degli incendi avrebbero impattato sulla loro vita, sul loro benessere, sulla loro salute mentale e sulle loro case. Inoltre i ricorrenti hanno evidenziato una violazione del divieto di discriminazione, alla luce del diritto alla vita e al diritto alla vita privata e familiari, richiamando il principio dell’equità intergenerazionale. Le ragazze e i ragazzi protagonisti del caso duarte hanno sostenuto dinanzi a uno degli organi più importanti in materia di diritti umani che la loro generazione è particolarmente colpita dal cambiamento climatico e che, data la loro età, l'interferenza con i propri diritti è più marcata che nel caso delle generazioni precedenti.
Il ricorso è stato presentato alla Corte il 7 settembre 2020 e durante il processo sono intervenuti in diverse occasioni gli Stati chiamati in causa e diversi enti terzi, tra cui il Commissario dei diritti umani del Consiglio d’europa, la Commissione europea, il rappresentante speciale delle nazioni unite sui diritti umani e l'ambiente, Greenpeace international, Oxfam international e il Center for International Environmental Law.
Dopo 4 anni, nonostante la testimonianza di esponenti autorevoli, la Corte ha emesso una decisione di inammissibilità del ricorso sulla base di tre profili critici:
per quanto riguarda gli stati diversi dal Portogallo, la corte non ha ritenuto che ci fossero i motivi nella Convenzione per estendere la giurisdizione extraterritoriale come richiesto dai ricorrenti e pertanto la competenza del caso è stabilità solamente nei confronti dello stato lusitano;
Per quanto riguarda il Portogallo però il caso viene ritenuto inammissibile perchè non sono state esaurite le vie di ricorso interne (in altre parole la causa non è stata giudicata e portata all’attenzione dei tribunali portoghesi).
Non vi era una significativa chiarezza riguardo alle situazioni individuali dei ricorrenti che ha reso difficile esaminare la soddisfazione dei criteri dello status di vittima, a tal proposito la Corte osserva che ciò potrebbe essere dovuto alla mancanza del rispetto dell’obbligo dei ricorrenti di esaurire i ricorsi interni, reputandolo necessario soprattutto nel caso di misure generali come quelle relative al cambiamento climatico.
Carême c. Francia (n. 7189/21)
Nella causa Carême c. Francia (n. 7189/21), il ricorrente Damien Carême (l’ex sindaco di Grand-Synthe e attuale europarlamentare tra i verdi) ha sostenuto che la Francia non ha adottato misure sufficienti per combattere il cambiamento climatico e che questa mancanza comporta una violazione del suo diritto alla vita e del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare e del suo domicilio, in particolare per quanto riguarda il rischio di inondazioni indotte dal cambiamento climatico a cui sarebbe esposto il comune di Grande-Synthe nel periodo 2030-40.
Il ricorso è stato presentato alla Corte europea dei diritti dell'uomo il 28 gennaio 2021 e la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso perché attualmente non vi è alcun legame rilevante tra il ricorrente e il comune di Grande-Synthe in quanto ha lasciato il paese nel 2019 per la carriera da europarlamentare. In tal senso non poteva rivendicare la qualità di vittima ai sensi delle disposizioni della Convenzione a prescindere dal fatto che fosse cittadino francese o ex-residente nel comune.
Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera (n. 53600/20)
Nel caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz le ricorrenti, che sono anche parte dell’associazione “Anziane per il clima Svizzera”, invece hanno chiamato in causa le autorità svizzere non avrebbero fatto abbastanza per contenere l'aumento della temperatura e ciò avrebbe determinato una serie di problemi di salute a causa delle forti ondate di calore. Lo status di vittima, diversamente dal caso Duarte, è stato giustificato sulla base di un danno già subito dalle ricorrenti (quindi non ha una natura potenziale) e ulteriormente aggravato dalla loro età avanzata.
Il ricorso è stato presentato alla Corte il 26 novembre 2020 e durante il procedimento, oltre alla Svizzera, sono intervenuti i governi di Austria, Irlanda, Italia, Lettonia, Norvegia, Portogallo, Romania e Slovacchia in qualità di terzi. Oltre alle entità che si sono espresse nel processo Duarte, sono intervenuti, tra gli altri, anche l’Esperto indipendente per il godimento per le persone anziane dei diritti umani, l’International Commission of Jurists (ICJ), l’European Network of National Human Rights Institutions (ENNHRI), la Global Justice Clinic e Germanwatch.
Con la sentenza del 9 aprile la Corte europea ha delineato i primi fondamentali principi per la valutazione delle questioni giuridiche sollevate dal cambiamento climatico nell’ambito della CEDU.
In questo contesto la precedente giurisprudenza ambientale elaborata dalla Corte ha offerto una guida da seguire, pur rilevando importanti differenze sollevate dalle questioni climatiche.
Ad esempio, nel contesto specifico del Clima, la ripartizione degli oneri intergenerazionali assume particolare importanza sia per quanto riguarda le diverse generazioni di coloro che vivono attualmente, sia per quanto riguarda le generazioni future. In tal senso, sebbene gli obblighi giuridici derivanti dalla Convenzione per gli Stati si estendono agli individui attualmente in vita che, in un determinato momento, ricadono sotto la giurisdizione di una determinata Parte contraente, è chiaro che le generazioni future probabilmente sopporteranno un onere sempre più gravoso delle conseguenze delle attuali mancanze e omissioni nella lotta ai cambiamenti climatici.
Di conseguenza la stessa Corte evidenzia che in una prospettiva intergenerazionale vi è un rischio insito nei processi decisionali, democratici e politici, che gli interessi e le preoccupazioni del breve termine possano prevalere a scapito di esigenze pressanti di definizione di politiche più sostenibili e di lungo periodo in favore delle future generazioni.
A ciò si aggiunge che la stessa Corte per poter accertare che uno Stato rispetti i propri obblighi climatici è necessario che vi siano prove di un rischio che raggiunga una certa soglia. In questo ambito la Corte deve valutare l’esistenza di un rapporto di causalità tra il rischio e il presunto inadempimento degli obblighi ma nell’ambito dei cambiamenti climatici, la particolarità della questione diventa più accentuata.
Questo perchè gli effetti negativi e i rischi per gli individui o una comunità di uno specifico luogo derivano da emissioni aggregate a livello globale. In altre parole le emissioni del singolo stato dove vivono questi individui e comunità contribuiscono, in diverso modo, a una parte delle cause che possono effettivamente provare il danno.
Per questo motivo secondo la Corte la valutazione del rapporto causa-effetto tra le azioni o le omissioni delle autorità statali in un Paese e il danno, o il rischio di danno, che ne deriva, è necessariamente tenue e indiretto rispetto a quello esistente nel contesto delle fonti locali di inquinamento nocivo.
Premesso ciò, rimane però fermo per i Giudici di Strasburgo che, dal punto di vista dei diritti umani, l'essenza dei doveri statali rilevanti nel contesto del cambiamento climatico riguarda la riduzione dei rischi di danno per gli individui. Al contrario, il mancato adempimento di tali doveri comporta un aggravamento dei rischi in questione, sebbene l'esposizione individuale a tali rischi varierà in termini di tipo, gravità e imminenza, a seconda di una serie di circostanze.
Nel caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz la Corte ha valutato negativamente l’applicabilità dell’articolo 2 (diritto alla vita) poiché attraverso propria giurisprudenza ha ritenuto l’applicabilità ai ricorsi relativi all'azione e/o all'inazione dello Stato per casi in cui vi fosse l'esistenza di un rischio "reale e imminente" per la vita. Ciò, nell’ambito dei cambiamenti climatici, è stato inteso come l’effettiva esistenza di un grave rischio inevitabile e irreversibile derivati dagli effetti negativi del cambiamento climatico e per cui gli eventi sono destinati ad aumentare in frequenza e gravità. Pertanto la valutazione della “realtà e dell’imminenza” dovrebbe essere riferito a una minaccia, grave, reale e sufficientemente accertabile alla vita, contenente un elemento di prossimità materiale e temporale.
In ogni caso, la Corte ha potuto riconoscere la violazione da parte della Svizzera dell’articolo 8 della Convenzione (diritto alla vita privata e familiare) in quanto deve essere considerato come comprendente il diritto degli individui a una protezione effettiva da parte delle autorità statali da gravi effetti negativi dei cambiamenti climatici sulla loro vita, salute, benessere e qualità della vita. Di conseguenza, l'obbligo dello Stato ai sensi dell'articolo 8 è quello di fare la sua parte per garantire tale protezione. In questo contesto, il dovere primario dello Stato è quello di adottare,
e di applicare effettivamente nella pratica regolamenti e misure in grado di mitigare gli effetti attuali e potenzialmente irreversibili del cambiamento climatico. Tale obbligo deriva dal rapporto di causalità tra il cambiamento climatico e il godimento dei diritti della Convenzione.
In linea con gli impegni internazionali assunti dagli Stati membri, in particolare nell'ambito dell'UNFCCC e dell'Accordo di Parigi, e con le prove scientifiche fornite, in particolare, dall'IPCC, gli Stati contraenti devono mettere in atto i regolamenti e le misure necessarie volte a prevenire un aumento delle concentrazioni di gas serra nell'atmosfera terrestre e un innalzamento della temperatura media globale oltre i livelli in grado di produrre effetti negativi gravi e irreversibili sui diritti umani. Inoltre, affinché ciò sia realmente fattibile, e per evitare un onere sproporzionato sulle generazioni future, è necessario adottare misure immediate e fissare adeguati obiettivi di riduzione intermedi per il periodo che porta alla neutralità. Tali misure dovrebbero essere inserite in un quadro normativo vincolante a livello nazionale, seguito da un'adeguata attuazione.
Oltre a ciò si afferma che, per garantire l'effettiva protezione dei diritti, le misure di mitigazione siano integrate da misure di adattamento volte ad alleviare le conseguenze più gravi o imminenti dei cambiamenti climatici, tenendo conto di ogni particolare esigenza di tutela. Tali misure di adattamento devono essere messe in atto ed efficacemente applicate in conformità con le migliori prove disponibili e coerentemente con la struttura generale degli obblighi positivi dello Stato in materia di cambiamenti climatici.
In conclusione la Corte enfatizza il ruolo di alcune garanzie procedurali che sono fondamentali per determinare se uno Stato stia effettivamente adempiendo ai propri obblighi climatici e alle disposizioni della CEDU. Per quanto riguarda il processo decisionale dello Stato, in particolare, verrà valutato se:
le informazioni in possesso delle autorità pubbliche importanti per la definizione e l'attuazione delle norme e delle misure pertinenti per affrontare i cambiamenti climatici sono messe a disposizione della popolazione, anche per poter valutare il rischio a cui sono esposte (garanzia di trasparenza)
esistono procedure nel processo decisionale che permettono di tenere conto delle opinioni e degli interessi della popolazione attraverso un loro coinvolgimento (garanzia di partecipazione)
Qualche possibile riverbero delle sentenza guardando al passato
Indubbiamente si tratta di sviluppi giurisprudenziali innovativi che da una parte cercano di colmare le lacune presenti in materia, dall’altra di verificare la conformità rispetto alla disciplina sui diritti umani delle legislazioni nazionali adottate per ragioni di adeguamento alle norme in tema di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. In tal senso è interessante abbozzare qualche potenzialità di questa pronuncia.
Se a livello della Corte europea si tratta di un primo caso, occorre evidenziare che a livello dei tribunali nazionali si è assistito ad un certo dinamismo con delle sentenze in materia di cambiamenti climatici che hanno fatto riferimento proprio alle disposizioni della CEDU.
Ad esempio, nel caso Oxfam France et al v. France, quattro ONG nel 2018 hanno inviato una lettera di diffida ai membri del governo francese, avviando la prima fase di un procedimento legale contro il governo per un’azione inadeguata sul cambiamento climatico. Dopo il respingimento da parte del governo francese, i ricorrenti hanno richiesto al tribunale amministrativo di Parigi che al governo francese sia ingiunto di porre rimedio all’inazione climatica e di rispettare gli obblighi discendenti dall’accordo di Parigi. Le ONG sostenevano che il governo avesse degli obblighi generali derivanti dalla Carta francese per l’ambiente, dagli artt. 2 e 8 della CEDU e dal principio generale del diritto secondo cui ogni persona ha il diritto a vivere in un sistema climatico preservato.
Il 3 febbraio 2021, il tribunale amministrativo di Parigi ha riconosciuto che l’inazione della francia ha causato un danno ecologico derivante dal cambiamento climatico ma ha rinviato la decisione sulla possibilità di emettere un’ingiunzione nei confronti del governo francese al fine di adottare misure climatiche più forti.
Nel caso Urgenda Foundation v. State of the Netherlands, il gruppo ambientalista fondazione urgenda ha fatto causa al governo olandese al fine di imporre un maggiore impegno per la lotta al cambiamento climatico. In primo grado la Corte distrettuale dell’aja ha ordinato allo stato olandese di limitare le emissioni di gas serra al 25% al di sotto dei livelli del 1990 entro il 2020 facendo riferimento alla CEDU e ai principi dell’equità intergenerazionale e della sostenibilità come contenuti nella Convenzione Quadro delle Nazioni unite.
La Corte d’appello dell’aia nel 2018 ha confermato la sentenza della Corte distrettuale aggiungendo che il governo olandese stava violando gli artt. 2 e 8 della CEDU. La Corte ha stabilito che il governo olandese ha un obbligo, ai sensi della CEDU, di proteggere questi diritti dalla minaccia reale del cambiamento climatico.
Pertanto oltre a essere base di valutazione dei prossimi casi che verranno presentati alla Corte europea, l’orientamento giurisprudenziale di Strasburgo potrebbe informare le interpretazioni dei tribunali nazionali. A tal proposito è interessante osservare il proseguimento della causa “Giudizio Universale”, promossa dal 5 giugno 2021 dall’associazione A Sud - Ecologia e Cooperazione onlus, la quale ha intentato una causa dinanzi al tribunale civile di Roma contro il governo italiano per “inazione climatica”.
L’associazione reputa che il governo non avrebbe intrapreso le azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi previsti dall’accordo di Parigi, violando di conseguenza numerosi diritti fondamentali. I ricorrenti, evidenziando il nesso tra l’impatto dei cambiamenti climatici ed il godimento dei diritti umani, lamentano la violazione, tra gli altri, degli artt. 2, 8 e 14 della CEDU, oltre che degli obblighi sanciti dalla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici e dall’accordo di Parigi.
Con sentenza del 26 febbraio 2024 (causa n.39415-2021), il Tribunale di Roma (seconda sez. civile), ha però dichiarato inammissibile le domande proposte dall’associazione contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri applicando il principio della separazione dei poteri e la (connessa) giurisprudenza di legittimità che ha riscontrato un difetto assoluto di giurisdizione per mancanza nell’ordinamento interno di una norma astrattamente idonea a tutelare l’interesse dedotto in giudizio (Cass. Sez. U., ordinanza n. 15061 del 1° giugno 2023) quando la domanda comporterebbe un sindacato sulla sfera riservata dalla Costituzione allo Stato legislatore (Cass. Sez. U., ordinanza n. 15058 del 29.05.2023).
In tal senso il Tribunale ha dichiarato che “l’interesse di cui si invoca la tutela risarcitoria ex art.2043 e 2051 c.c.” non rientra nel novero degli interessi soggettivi giuridicamente tutelati, in quanto le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico antropogenico – che comportano valutazioni discrezionali di ordine socio-economico e in termini di costi-benefici nei più vari settori della vita della collettività umana – rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici.
Occorrerà quindi ora vedere quali saranno i prossimi passi e gli eventuali prossimi gradi di giudizio. Per il momento è rilevante che nel corso delle udienze celebrate e nello scambio di documentazione processuale, lo Stato non ha prodotto evidenze scientificamente verificabili sull’efficacia delle proprie azioni di mitigazione, né sono state confutate le evidenze addotte dai ricorrenti. Lo Stato si è limitato a rilievi formali che intendono di fondo evitare il processo.
Eppure nel 2021, anche lo Stato italiano ha apertamente riconosciuto, dinanzi alla Corte Europea nel contesto del procedimento relativo al caso Duarte, l’esistenza di un «obbligo positivo di proteggere le persone sotto la sua giurisdizione da possibili danni alla loro salute e alla loro sfera personale dovuti al cambiamento climatico» e che ciò che ci si dovrebbe aspettare dallo Stato è «di fare tutto ciò che è ragionevolmente possibile fare per evitare le conseguenze dannose del cambiamento climatico, anche sul diritto alla vita».
Sempre nell’ambito dello stesso procedimento nel 2022 lo Stato italiano ha poi apertamente ammesso che «come dimostrato nel contenzioso Giudizio Universale, i rimedi interni offerti dal sistema giuridico italiano non forniscono una “mera possibilità di contestare le politiche/misure climatiche”. Essi forniscono una via concreta per valutare gli sforzi di mitigazione dello Stato per affrontare il cambiamento climatico» tenendo conto delle disposizioni rilevanti in tema di responsabilità civile.
Un nuovo patto sociale tra generazioni
Quello del 9 aprile è stato un importante passo anche se per un certo senso molto limitato e occorrerà vedere i riverberi nel prossimo futuro. Eppure, come testimoniato dalla “Our Common Agenda” delle Nazioni unite presentata nel settembre 2021, l’attuale generazione di giovani si affaccia su un mondo in cui il loro futuro è compromesso in molteplici modi e che già risente della crisi climatica in atto.
Secondo il rapporto occorre riformulare il “contratto sociale” che regge le nostre società affinché includi e approfondisca la solidarietà tra le generazioni, tenendo in conto non solo coloro che sono attualmente in vita ma anche coloro che verranno. Se non si instaura una solidarietà tra le generazioni, anzi, il contratto sociale che sta modellando il futuro sarà progettato esclusivamente da coloro che non vivranno per vederlo realizzato.
Al contrario, proprio l’Italia ha di recente promosso politiche volte a criminalizzare le azioni di protesta promosse da parte della società civile intese a sensibilizzare la collettività in merito all’emergenza climatica in corso, come osservato con preoccupazione anche dalle Nazioni Unite. A tal proposito Michel Forst, UN Special Rapporteur on Environmental Defenders under the Aarhus Convention, ha criticato il nuovo reato di danneggiamento di beni culturali e artistici che permette alle autorità di arrestare gli attivisti responsabili di aver gettato vernice su un edificio come attività di protesta e di condannarli a una pena fino a un anno di carcere unitamente a sanzione amministrativa particolarmente elevata.
Ma di questo, ne parleremo in una nuova lettera…
Per approfondire alcuni dei contenuti di questa newsletter: