La crisi climatica è anche una questione di genere
La complessità degli impatti dei cambiamenti climatici sulla vita delle donne
La crisi climatica non ha confini, in molti sono d’accordo su questo, ma ognuna e ognuno è esposto in modo diverso agli effetti dei cambiamenti climatici a seconda di condizioni geografiche, personali, sociali ed economiche come il genere l'etnia, la classe sociale, la disabilità, l'orientamento sessuale, la religione e altre identità sociali che interagiscano a molteplici livelli, spesso simultanei. Siamo fragili e maggiormente esposti alla crisi climatica sulla base di cause sistemiche che possono portare anche a discriminazioni, oppressioni, marginalità o dominazioni.
Riconoscere che la crisi climatica non è solo un problema scientifico, economico e politico ma anche sociale e culturale significa ricomporre i diversi frammenti della complessità e potenziare le prospettive di azione. Per questo anche il genere, inteso come costruzione sociale consolidata dalle pratiche sociali, influisce significativamente sia sugli impatti della crisi climatica nell'esperienza quotidiana delle persone, sia sulle strategie possibili per adattarsi a tali fenomeni (ossia anticipare gli effetti avversi e adottare misure adeguate per prevenire o ridurre al minimo i danni che possono causare).
Le diseguaglianze di genere influenzano negativamente la capacità di adattamento alla crisi climatica
L'inclusione delle considerazioni di genere in tutte le fasi delle politiche e delle azioni di adattamento è promossa dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) per due motivi principali: 1. evitare che i programmi di adattamento accentuino le disuguaglianze di genere, 2. garantire l'efficacia degli interventi.
Il rapporto del secondo gruppo di lavoro dell’IPCC del 2007 sottolinea che le differenze strutturali tra uomini e donne, derivanti dai ruoli di genere nella società, nel lavoro e nella vita domestica, incidono sia sulla vulnerabilità che sulla capacità di adattamento. La vulnerabilità, in questo caso definita come l’esposizione al rischio e l'incapacità di reagire agli effetti avversi della crisi climatica, è un concetto dinamico influenzato da fattori economici, sociali, geografici, demografici, culturali, istituzionali e ambientali, per questo non può essere generalizzata e varia in base al contesto specifico.
1. divisione del lavoro: la crisi climatica colpisce durante quei settori in cui le donne sono impiegate maggiormente. Ad esempio negli ultimi anni si è notata una crescita delle donne impiegate nel settore agricolo tale che si parla di “femminizzazione dell’agricoltura”;
2. accesso alle risorse e “femminizzazione della povertà”: la larga presenza femminile in un settore della produzione non corrisponde al controllo della produzione o al fatto che una donna detiene un ruolo decisionale. Negli ultimi anni si è parlato anche di “femminizzazione della povertà” a cui si aggiunge che spesso le donne possono avere un minore accesso al credito, alle informazioni o all’istruzione
3. questione fisiologica: i fattori biologici possono esporre le donne maggiormente a determinati agenti chimici o avere bisogni specifici in condizioni di gravidanza, allattamento o ciclo mestruale che le rendono più vulnerabili in caso di eventi estremi;
4. norme di genere: in moltissimi Paesi le norme consuetudinarie di genere possono determinare condizioni di discriminazione. Un esempio significativo è il ciclone che colpì il Bangladesh nel 1991, causando 140.000 morti, dove il 90% erano donne. Le cause principali furono la segregazione basata sul genere che le impedì di ascoltare i segnali di allarme circolati nei mercati e, nel post-disastro, la mancanza di privacy nei campi crearono situazioni di forte umiliazione;
5. accesso ai processi decisionali: la scarsa rappresentanza femminile nei processi decisionali e di potere porta all’insufficiente considerazione di specifiche vulnerabilità e di determinate dinamiche socio-economiche di genere;
Evidenziare questi punti è fondamentale sopratutto tenendo conto che nel 2022 la Commissione intergovernativa sulla condizione delle donne delle Nazioni unite (che raccoglie e analizza i dati del Consiglio economico e sociale) ha concluso che senza l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne non si possono contrastare il cambiamento climatico e ridurre i rischi da disastro. Inoltre, negli ultimi anno il nesso tra gli impatti della crisi climatica e dei fenomeni di degrado ambientali conseguenti ad esso o da gravi forme di inquinamento e il godimenti dei diritti umani è stato più volte rimarcato da innumerevoli report, dichiarazioni delle istituzioni internazionali e sentenze. Per questo occorre vigilare attentamente perchè come ribadito anche dal report della FAO “The Unjust Climate”: il cambiamento climatico amplifica le disuguaglianze sociali, economiche e di genere, evidenziando l’urgente necessità di dedicare maggiori risorse finanziarie e attenzione politica alle questioni di inclusività e resilienza nelle azioni climatiche globali e nazionali.
Barriere nell’accesso ai processi decisionali politici
La crisi climatica è una delle sfide principali da cui dipenderà il futuro della democrazia, anzi secondo l’International Institute for Democracy and Electoral Assistance si tratta della più grande sfida che la democrazia abbia visto. Ciò ci invita a riflettere sul fatto che le donne sono spesso sottorappresentate nei processi decisionali relativi al cambiamento climatico, sia a livello locale che globale. Questa esclusione limita la capacità delle politiche climatiche di affrontare in modo efficace le esigenze e le prospettive di tutta la popolazione portando a politiche climatiche inefficaci e all’aumento delle disuguaglianze di genere, e non solo direi.
Ma qual è la situazione in Italia?
Allargando lo sguardo, possiamo andare a vedere l’ultimo report di “Sesso è Potere” pubblicato Info.Nodes insieme a onData che cerca di analizzare quali siano le reali opportunità per le donne rispetto agli uomini di arrivare a dei ruoli di comando, quindi di detenere il potere. La risposta la possono fornire direttamente loro:
Il compito più difficile quest’anno è stato trovare qualcosa di nuovo da raccontare. Il quadro italiano infatti è rimasto invariato: il potere è saldamente in mano agli uomini.
Il Governo, il Parlamento, gli enti comunali, regionali, territoriali, persino la diplomazia italiana, tutto questo enorme potere politico rimane ancora coniugato al maschile, in mano agli uomini (35% donne vs. 65% uomini). Nel report hanno, inoltre, verificato la percentuale di amministratrici delegate o CEO tra le 50 aziende a maggiore capitalizzazione quotate alla borsa di Milano. È emerso che gli uomini ricoprono posizioni apicali in 48 casi su 50, con una presenza femminile pari dunque al solo 4%. Insomma… qualche problema lo abbiamo.
Gli impatti della crisi climatica e dell’inquinamento sulla salute delle donne
La crisi climatica ha un impatto sproporzionato sulla salute delle donne, aggravando problemi come malnutrizione, malattie respiratorie e complicazioni durante la gravidanza. Le donne, spesso più vulnerabili a povertà e violenze durante le migrazioni causate dai disastri, necessitano di politiche specifiche che proteggano la loro salute.
Secondo il documento dell'OMS Protecting Maternal, Newborn and Child Health from the Impacts of Climate Change, gli effetti del cambiamento climatico sulla salute delle donne sono ancora poco documentati e sottovalutati.
Un rapporto lanciato alla COP28 da UN Women suggerisce che entro il 2050 il cambiamento climatico potrebbe spingere fino a 158 milioni di donne e ragazze in più nella povertà e causare insicurezza alimentare a 232 milioni di persone. Condizioni meteorologiche estreme come tempeste, inondazioni o caldo sono in aumento, costringendo migliaia di persone a lasciare le loro case in tutto il mondo. Secondo l'UN Environment, l'80% delle persone sfollate a causa dei cambiamenti climatici sono donne o ragazze che affrontano maggiori rischi di povertà, violenza o gravidanze indesiderate mentre migrano verso luoghi più sicuri.
Crisi climatica, degrado ambientale e violenza di genere
Il rapporto Gender-based violence and environment linkages: The violence of inequality cerca i mappare i legami diretti tra le pressioni ambientali (causate dalla crisi climatica e l’inquinamento) e la violenza di genere, che viene utilizzata come mezzo sistemico per rafforzare i privilegi esistenti e gli squilibri di potere sui ruoli e sulle risorse, il traffico e lo sfruttamento sessuale ma anche per esercitare il controllo sui difensori dell'ambiente e dei diritti umani. Mentre la violenza contro le e gli attivisti ambientali è in aumento in generale, le attiviste in particolare sembrano subire livelli crescenti di violenza di genere mirata a sopprimere il loro potere, minare la loro credibilità e il loro status all'interno della comunità e scoraggiare altre donne dal farsi avanti.
Non può poi passare inosservato che la crisi climatica per lungo tempo ha anche favorito il consolidamento di gruppi terroristici come Boko Haram nella regione del lago Ciad. Qui la recessione del lago a causa dell’aumento delle temperature medie globali ha avuto duri effetti sull’economia locale e la sicurezza alimentare, facilitando le attività di reclutamento da parte del gruppo. Inoltre il ritiro dell’acqua ha aperto nuove strade che hanno permesso azioni di guerriglia contro i villaggi e i mercati, facendogli acquisire posizioni importanti per presidiare l’accesso alle risorse. Ciò ha avuto la conseguenza di aumentare la violenza contro le donne che sono state rapite, ridotte in schiavitù e a subire abusi, matrimoni e conversioni forzate.
Un Paese in guerra: il caso dell’Afghanistan
In questo periodo in cui si parla tanto di guerra, allo stesso modo non può passare inosservato che, come evidenzia il Conflict and environment observatory, il comparto bellico “pesa” per il 5,5% delle emissioni globali: se fosse uno Stato, sarebbe preceduto solo da Cina, Stati Uniti e India. Tristemente è ironico che uno dei Paesi maggiormente lacerato da una guerra interminabile come l’Afghanistan sia anche un Paese che soffre e soffrirà sempre di più la crisi climatica. Secondo il report “Climate risk country profile” della Banca mondiale, è la quinta nazione al mondo più vulnerabile a tali impatti a causa della sua situazione politica, della malnutrizione, della collocazione geografica e del conflitto in corso dagli anni ottanta.
Negli anni proprio per sopravvivere e rispondere alle condizioni climatiche sempre più difficili, molti agricoltori Afghani sono andati alla ricerca di colture più resistenti. Proprio per avere una speranza di sopravvivenza e rispondere a condizioni climatiche sempre più difficili molti agricoltori vanno alla ricerca di colture più resistenti. Sfortunatamente tra queste c’è il papavero da oppio (da cui si ricava l’eroina) che ben si adatta alle alte temperature ed è in grado di sopravvivere a prolungati periodi di siccità. Ciò ha portato alla sostituzione delle produzioni alimentari con l’oppio, imposta dai grandi proprietari terrieri, e al progressivo consolidamento del potere dei Talebani e dei Signori della guerra attraverso la vendita alla criminalità internazionale.
Questo è stato uno dei tasselli che ha portato alla continua violazione dei diritti e alla repressione violenta delle donne afghane sotto il regime dei Talebani. In occasione della giornata internazionale della Donna, Large Movements APS ha voluto ricordare la storia di donne che, nonostante i continui tentativi di cancellarne l’esistenza dalla vita pubblica, continuano a resistere ed a combattere per un futuro migliore per il loro Paese. Una storia che almeno in parte ci ricorda le mille connessioni che vi sono tra genere e crisi climatica.
“Un Paese in guerra: il caso dell’Afghanistan” è un podcast che racconta la storia dell’avvento dei Talebani, partendo dalle origini del gruppo, risalenti a più di 40 anni fa, ed arrivando a raccontare la situazione attuale in cui è costretta a vivere la popolazione, sia quella rimasta in Afghanistan che coloro che sono riusciti ad essere evacuati. Dall’8 marzo al 12 aprile, ogni sabto alle 8, il podcast andrà ad esplorare anche il ruolo della comunità internazionale nella gestione delle varie fasi diplomatiche attraversate dal Paese nonché le motivazioni e gli interessi geopolitici che contribuiscono tuttora a rendere la situazione in Afghanistan di difficile soluzione.
Ti piace quello che faccio? Dimostra un pò di affetto e metti un cuoricino in basso ❤️ Meglio ancora se lasci un commento!
Le Lettere vengono spesso scritte di notte o nei ritagli di tempo, insomma quando non sono impegnato a guadagnarmi lo stipendio che mi permette di sopravvivere. Per questo sarebbe grandioso se riuscissi a condividere questa Lettera :)
Ah, se non lo hai ancora fatto, ricordati di iscriverti per ricevere le prossime Lettere!