Democrazia deliberativa e partecipativa: restituire il potere alle persone
Ecco una guida completa per comprendere cos’è la democrazia deliberativa e partecipativa
Sappiamo che la crisi climatica è la sfida del nostro secolo ma dimentichiamo che possiamo affrontarla grazie alla democrazia deliberativa o partecipativa, due approcci tra loro complementari che si basano sulla partecipazione delle persone nei processi decisionali.
Non sappiamo dove stiamo andando, come finiranno le nostre società e siamo bombardate di notizie di guerre che continuano a scoppiare. Viviamo in una fase storica di profonda transizione e contraddizione dove la democrazia, almeno nella sua forma rappresentativa, non se la passa tanto bene. Sono anni che aspettiamo i risultati della diagnosi di questo malessere generalizzato e nel frattempo i politologi hanno iniziato a parlare di crisi della democrazia per dare un immagine del progressivo scollamento tra chi governa e chi è governato.
La crisi della democrazia altro non è che la riduzione della democrazia al suo minimo denominatore possibile (il voto) e il rischio che possa essere un’arena di scontri di personalità che lasciano il popolo “fuori e al freddo” dal fare politica, proprio coloro che attraverso il voto delegano il proprio potere decisionale a una o un rappresentante. E cosa rimane? Perdita di fiducia e legittimità delle istituzioni con crescente astensionismo delle persone in occasione dei momenti elettorali.
Le ragioni della crisi della democrazia sono profonde e le radici scavano la terra giorno dopo giorno. Parte delle ragioni possono essere attribuite alla debolezza della democrazia rappresentativa nell’affrontare temi complessi quali le ricadute sociali delle gravi crisi finanziarie ed economiche, il lavoro, le guerre o la crisi climatica, che secondo l’International Institute for Democracy and Electoral Assistance è la più grande sfida che la democrazia abbia visto.
Da qui nasce la necessità di “curare” la democrazia ripartendo dalla partecipazione delle persone, rendendole protagoniste e restituendo loro quote di potere decisionale attraverso la democrazia deliberativa e partecipativa per influenzare e migliorare le politiche pubbliche.
Partecipazione, metodi e strumenti nella democrazia
Mi dirai “tutto molto bello” ma adesso ci arrivo perché il primo problema da affrontare per capirci è che la “partecipazione” può esprimersi in modi diversi e che questa può essere promossa dagli individui, della autorità pubbliche, dalle organizzazioni del terzo settore, dai movimenti dal basso e pure dai media.
Per farla breve: da tutte e tutti! La cosa bella è che possiamo partecipare sia collettivamente, sia individualmente (sai spesso anche io ho le batterie sociali scariche e non è che abbia tutta sta voglia di interagire con altri esseri umani).
Tempo fa nella guida CLIMentines, riconoscendo le complessità che porta con se la parola “partecipazione”, abbiamo provato a fornire un quadro teorico e pratico per comprendere la democrazia deliberativa e partecipativa. Così abbiamo distinto tra metodi e strumenti della democrazia.
Metodi e strumenti: concetti per organizzare e facilitare pratiche di partecipazione
Con “metodi” ci si riferisce a un insieme organico di regole e principi, nella guida con questa parola ci siamo riferiti a processi strutturati e agli assetti organizzativi che facilitano la partecipazione delle persone nelle decisioni. I metodi della democrazia definiscono quindi la struttura e i principi che regolano la partecipazione al processo.
Con “strumenti” ci si riferisce invece a strumenti specifici o pratiche utilizzate all'interno dei vari metodi per favorire la partecipazione, il dialogo, la riflessione o la raccolta di informazioni.
Secondo questa distinzione, i metodi sono processi più ampi e strutturati che definiscono le modalità di partecipazione, mentre gli strumenti sono tecniche operative che facilitano il confronto e le decisioni all’interno dei metodi stessi o per lavori di gruppo (non è necessario che si inseriscano in un percorso strutturato). Per questo i metodi possono essere inquadrati nelle due macro-categorie teoriche sulle forme della democrazia: la democrazia deliberativa e la democrazia partecipativa.
Si tratta di distinzioni teoriche, quante volte nei libri hai letto di concetti che ti hanno aiutato a capire la realtà ma che allo stesso tempo sembravano comunque astrazione? Ricorda che esistono numerosi punti di contatto e confini sfumati tra i vari metodi.
Nelle pratiche democratiche non vi è una netta separazione tra democrazia partecipativa e deliberativa, piuttosto un'intersezione possibile ogni volta che le modalità di partecipazione attribuite a una si sovrappongono ai criteri teorici dell’altra. Banalmente entrambi i modelli mirano alla partecipazione delle persone nel processo decisionale e possono essere ibridati o adattati in base alle esigenze.
La democrazia partecipativa
Quando parliamo di democrazia partecipativa, ci riferiamo a un sistema in cui vengono creati spazi e modalità per contribuire alla governance pubblica in diverse forme: prendere decisioni, proporre iniziative, gestire un bene pubblico, organizzare un servizio o monitorare e valutare l'attuazione delle politiche pubbliche.
L'obiettivo generale della democrazia partecipativa è andare oltre la delega totale del potere ai rappresentanti politici eletti, senza però sostituirla con un esercizio esclusivo da parte della cittadinanza.
Tra i principi della democrazia partecipativa vi è partecipazione aperta al maggior numero possibile di persone, le discussioni si basano principalmente sulla conoscenza e sull’esperienza personale; non occorre necessariamente prendere una decisione e questa può essere presa con la maggioranza semplice.
Degli esempi di metodi della democrazia partecipativa possono essere:
il monitoraggio civico;
i policy labs;
il bilancio partecipativo.
La democrazia deliberativa
Con democrazia deliberativa, invece, ci si riferisce a un sistema in cui i processi decisionali si basano su un confronto argomentato tra opinioni. I principi della democrazia deliberativa (che si fondano sul pensiero di Habermas) richiedono che i processi deliberativi siano dialogici (in greco “discorso tra persone”), informati, strutturati, deliberativi (dal latino libra, bilancia) ed empowered (ossia che almeno una quota del potere decisionale viene restituita alle e ai partecipanti).
Nei metodi della democrazia deliberativa quindi le e i partecipanti ascoltano esperti, testimonianze o punti di vista degli stakeholder, acquisendo informazioni che vengono utilizzate per discutere, valutare i pro e i contro delle diverse opzioni disponibili e decidere collettivamente, tramite consenso unanime o maggioranza qualificata, su proposte relative a un determinato tema.
A differenza dei metodi della democrazia partecipativa, i metodi deliberativi si concludono con una decisione che deve riceve il consenso più ampio possibile e la selezione delle e dei partecipanti avviene secondo criteri ben definiti: si cerca di creare "minipubblici", ovvero gruppi che riflettano le caratteristiche socio-demografiche della popolazione di riferimento (locale, regionale, nazionale, ecc.)
Degli esempi di metodi della democrazia deliberativa possono essere:
le assemblee deliberative (o assemblea dei cittadini)
lo European Awareness Scenario Workshops (EASW)
le Consensus Conference.
Perché parlare di partecipazione nella crisi climatica?
La crisi climatica ci chiede insistentemente di rivedere i processi decisionali delle nostre democrazie. Nel 2019, la Commissione Europea ha introdotto il Green Deal Europeo, un nuovo patto sociale volto a raggiungere gli obiettivi climatici del 2030 e del 2050 attraverso una "transizione verde" che rispetti il principio di "Non lasciare indietro nessuno". Questo approccio sottolinea l'importanza di una transizione equa e inclusiva, in cui le persone siano attivamente coinvolti nella definizione e nell'attuazione delle politiche climatiche.
Numerose normative locali, nazionali e internazionali ribadiscono che partecipare alla progettazione delle politiche climatiche non è solo un diritto, ma una necessità per superare i limiti della democrazia rappresentativa, che spesso lega la partecipazione ai momenti elettorali, escludendo le voci di chi non ha diritto di voto o di chi, per varie ragioni, si trova in una condizione di vulnerabilità.
Aumentare pratiche di democrazia deliberativa e partecipativa in ogni fase del ciclo del policy making permette di raccogliere bisogni, pareri personali, integrare la voce di chi di solito non viene ascoltato, garantire la pluralità di punti di vista in modo strutturato con lo scopo di migliorare le politiche climatiche rendendole più aderenti alle realtà territoriali.
La democrazia deliberativa e partecipativa ci permette di iniziare a curare quel rapporto difficile che viviamo tra crisi climatica e democrazia. La partecipazione può ripensare i modelli di governance, spesso focalizzati sul breve termine, per integrare una prospettiva di "solidarietà intergenerazionale", responsabilizzando le generazioni presenti nei confronti di quelle future. Inoltre, la partecipazione può aiutare a prevenire il rischio di "cattura delle politiche" – quando le decisioni politiche vengono influenzate da interessi privati anziché da interessi collettivi – garantendo che le scelte riflettano le priorità dell’intera società e non solo di pochi. Va da sé che più i processi sono ampi e inclusivi e minore è il rischio che tali politiche generino disuguaglianze.
Democrazia rappresentativa, diretta, partecipativa o deliberativa?
Cosa dobbiamo scegliere tra democrazia rappresentativa, diretta, deliberativa o partecipativa? Semplice, tutto!
Penso che sia difficile immaginare queste forme di democrazia come alternative o sostitutive, dovrebbero tutte rimanere in un rapporto di complementarietà e dialogo. Ognuna dovrebbe essere presente laddove è la forma migliore per quel caso specifico, l’importante è approfondire la democrazia nelle sue molteplici prospettive e aumentare gli spazi in cui le persone possono tornare a “fare politica”, tornando quindi protagoniste della cura del proprio territorio e del benessere collettivo.
In Italia esistono già diverse esperienze di democrazia partecipativa, mentre stano aumentando quelle di democrazia deliberativa (in particolare per quanto riguarda le assemblee deliberative). Quindi anche l’Italia potrebbe essere un paese su cui è possibile “investire” sulla partecipazione.
La scala della partecipazione di Arnstein
Sarebbe però importante che le pratiche di democrazia deliberativa e partecipativa restituiscano veramente il potere alle e ai partecipanti. Sia nel caso in cui le pratiche vengano promosse dall’alto (top-down, dal decisore pubblico), sia nel caso di pratiche dal basso (bottom-up, dalle realtà civiche), il decisore politico si dovrebbe impegnare a dare una risposta alle indicazioni delle persone e a informare attivamente sugli esisti della valutazione e l’eventuale stato di attuazione delle raccomandazioni.
Per comprendere meglio cosa intendo può essere utile la “scala della partecipazione” (The Ladder of citizens participation) elaborata da Sherry Arnstein nel 1969 al fine di distinguere tra diversi livelli di partecipazione in processi di costruzione e attuazione di politiche pubbliche.
Nella scala si parte da un primo livello di non partecipazione che indica quei processi incentrati sulla “cura” delle persone da parte delle istituzioni ma non finalizzati in alcun modo all’inclusione dei cittadini nel ciclo del policy-making.
Si passa poi al livello del “tokenism”, che indica quell’insieme di azioni intraprese allo scopo di ascoltare a dar voce ai cittadini attraverso i gradi di informazione, consultazione e conciliazione, le quali, in maniera più o meno forte, permettono ai cittadini di acquisire consapevolezza ed esporre le proprie visioni, mancando però la garanzia che esse siano messe in atto dal livello politico-istituzionale.
L’ultimo livello della scala comporta l’effettiva influenza dei cittadini nel policy making che va dall’avere potere di influenzare le politiche fino a un vero e proprio caso di parità tra partecipanti e decisori pubblici.
L’importanza di rendere più inclusiva e ampia la democrazia
Non mi stuferò mai di ripeterlo ma la crisi climatica e i duemila problemi che viviamo quotidianamente ci urlano di ripensare la distribuzione del potere decisionale all'interno delle nostre società.
Se il concetto di marginalità indica una distanza da un punto di riferimento, quando parliamo di democrazia possiamo individuare chi è più o meno marginale rispetto al potere di influenzare le politiche pubbliche. Senza contare che quante più persone sono marginali rispetto al potere decisionale, tanto più è profonda la crisi della democrazia.
Magari mi sto avvicinando pericolosamente ai 30 anni ma sul blog di ActionAid Italia ho lanciato questa domanda: hai mai pensato al fatto che una cena può assumere connotati diversi in base ai gusti, alle allergie, alla religiosità o all’etica dei singoli partecipanti? Ognuno porta con sé bisogni, necessità e desideri che li caratterizza e dovrai fare in modo che chiunque possa passare una piacevole serata.
Ecco, allo stesso modo quando parliamo di politiche pubbliche e partecipazione il mantra è il seguente: “chi decide” dovrebbe tenere conto delle diverse voci che sono presenti all’interno della società. In questo senso più è ricca e diversificata la partecipazione, più le decisioni riflettono le priorità della società nel suo insieme. Poi sia te che organizzi la cena, sia il decisore pubblico che deve rispondere al processo partecipativo, vivrà uno stato di ansia perenne fino a che il proprio compito non può dirsi terminato.
Se ci lasciamo cadere nel buio della crisi, se ci arrendiamo ai semplici sussurri della ragion di stato, il rischio è che le odierne democrazie diventino una cena per pochi o peggio come quelle cene in cui non conosci nessuno, non c’è nulla che ti piacerebbe mangiare e senti un enorme peso sul petto perché non riesci a esprimere i pensieri come vorresti.
Le democrazie dovrebbero essere come una tavola a misura di tutte e tutti in cui si intrecciano conversazioni, risate e racconti ma anche discussioni e conflitti che possono portare a cambiare i diversi punti di vista. Ognuno dovrebbe riuscire a sedere a questa tavola per condividere i propri pensieri e ascoltare quelli degli altri, creando un tessuto comune di comprensione e connessione rispetto a uno o a più problemi di interesse per la comunità. In altre parole, dovremmo tornare a parlarci ed ascoltarci.
E tu, cosa ne pensi? È importante per te la partecipazione? Ne sapevi qualcosa?
Questa lettera è uno spazio per riflettere insieme sulla crisi climatica per andare oltre all’incomunicabilità con cui viviamo queste sfide. Quindi certamente ti leggo e ho cura di ogni tua interazione: scrivimi, commenta, condividi o lascia un cuoricino. Costruiamo insieme la community di Lettere nella crisi climatica👇
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