Pensieri di una notte di fine estate: dove sta andando la società nella crisi climatica?
Tre storie da questa estate 2025 per tracciare il futuro delle Lettere nella crisi climatica
Ciao, come stai? Come è andato agosto? Spero che hai trovato il tempo per riposarti.
Questa è una di quelle lettere nella crisi climatica nate di notte, poco prima di addormentarsi. Proprio in quel momento le lettere iniziamo a fluire nella testa e si quietano solo quando riesco a trovargli una posizione su un foglio bianco. Questa inquietudine notturna nasce perché sento che la nostra società si sta sgretolando per lasciare spazio a una realtà dai colori distopici, quasi a tinte noir.
Come sai queste lettere sono nate come uno sfogo creativo per riflettere insieme sulla società nella crisi climatica perché come comunità abbiamo smesso di parlarci. L’estate 2025 appena passata ne è stata la dimostrazione e le notizie recenti mi hanno fatto rabbrividire dando vita a frammenti di riflessioni che non so se approfondirò nelle prossime lettere ma che volevo portare nella nostra conversazione.
Comincio da quelle più recenti che mi stanno facendo salire il vomito ogni volta che apro i social: la storia di Marzia Sardo.
Marzia Sardo, la ragazza molestata durante una tac

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Prima di tutto: “Sì, parliamo di una molestia a sfondo sessuale”. Puoi pensarla come la vuoi, puoi ritenere anche che sia falso, ma di fatto quello di cui si parla (o parlerebbe) è molestia.
Marzia Sardo è una ragazza siciliana di 23 anni che vive a Roma e che si era recata al Policlinico Umberto I per degli accertamenti. Il caso sui social è esploso perché Marzia ha denunciato sui social che, mentre si stava preparando per sottoporsi a una tac, il tecnico davanti ai suoi colleghi (tutti uomini) le ha detto “Se vuoi togliere anche il reggiseno fai felici tutti".
La risposta del tecnico, secondo quanto detto dalla ragazza, sarebbe nata dopo la domanda di Marzia su cosa avrebbe dovuto togliere per non avere dei rischi durante la tac, pensando al ferretto del suo reggiseno.
Ho tenuto a specificare fin da subito che si tratta di molestia perché sui vari social si leggono commenti di questo tipo:
“la prima mancanza di rispetto è verso le donne che subiscono vere violenze”
“è tutto falso ed è in cerca di notorietà, la zecca aspettava il primo momento utile per fare la sceneggiata nazi-femminista”
“non si può più dire nulla! Quello che le hanno detto in ospedale era una battuta e anche un mezzo complimento
“questa non è una molestia se chiedi al dottore se chiedi che devi levarti la maglietta”
Cos’è una molestia?
Procedendo con ordine, il concetto di molestia nell’ordinamento italiano si riferisce a qualsiasi condotta connotata dall’effetto di recare disturbo o fastidio nella sfera privata o nella vita di relazione. Di per sé la molestia è costituito da tutto ciò che altera lo stato psichico di una persona e può essere generato da una attività di comunicazione a prescindere dal suo contenuto. Si entrerebbe invece nella sfera dell’abuso e della violenza quando c’è un intrusione nella sfera fisica della persona (qui comunque c’è un approfondimento di uno studio legale).
Come riporta da un documento informativo del Ministero dell’Interno, il fenomeno delle molestie di genere si sviluppa all’interno di "asimmetrie nei rapporti di potere, alimentate da stereotipi di genere, da norme sociali e comportamentali che sfociano in dinamiche di esclusione e di affermazione di supremazia e in discriminazione dei ruoli, nella responsabilità e nella sfera del potere negoziale degli individui in ogni ambito della vita pubblica e privata".
La reazione sui social alla storia di Marzia Sardo
Fissati questi due punti viene più facile criticare una prima tipologia di commenti, quella che afferma “se fossi stato nei suoi panni”. La base è proprio nelle soggettività coinvolte, semplicemente se non c’è il consenso e la complicità da tutte e due le parti quella che viene chiamata “battuta” non è altro che una molestia.
Per quanto riguarda la seconda tipologia di commenti che si basano sull’aspetto fisico, la storia o il pensiero della persona coinvolta invece parliamo semplicemente di una dinamica aberrante.
Dovremmo riflettere su cosa significa tutto ciò: se reputiamo una molestia o una violenza falsa sulla base dell’aspetto, stiamo implicitamente dicendo che solo determinate persone possono essere molestate e abusate? Per paradosso qualcuno sembrerebbe voler creare una legittimazione all’abuso e alle molestie di determinate persone solo perché ritenute esteticamente adeguate. Non è forse anche questa una affermazione di potere?
A ciò si aggiunge che nel affermare che è “tutta una finzione” queste stesse persone sono andate a studiare e a giudicare la vita di Marzia, in questo caso la vittima. Andando al di là del fatto che il consenso rimane alla base di tutto, valutare ciò che ha subito una persona in base a quello che pubblica sui social o a un ipotetico pensiero politico non è altro che discriminatorio. Implicitamente stai dicendo che quella persona non merita il beneficio del dubbio o nel caso una tutela semplicemente perché ha quel determinato pensiero od opinione politica. Il risultato è quello di dare la colpa alla stessa vittima per quello che è accaduto.
Tra poco ritorno su questa storia ma ora ti voglio parlare dell’altra notizia che ha occupato i telegiornali ad agosto e che mi ha dato molti pensieri per la testa, quella dello sgombero del Leoncavallo.
Il Leoncavallo, una riflessione incompiuta
Personalmente non ho mai frequentato il Leoncavallo anche se ormai sono più di 3 anni che vivo a Milano, ma di centri sociali e spazi occupati ne ho vissuti un bel po’.
Si tratta di luoghi spesso criticati da chi non ci ha messo piede e che sono spazi di cultura, arte e incontro. Non sono altro che spazi di aggregazione e nell’epoca dell’isolamento il più grande atto politico dei centri sociali è proprio quello di aggregare e mettere insieme le persone.
Il 21 agosto 2025 il Leoncavallo è stato sgomberata la sede di via Watteau, su ordine del Ministero degli Interni con venti giorni di anticipo rispetto alla data fissata. La cosiddetta “sinistra istituzionale” ha guardato quasi immobile quanto stava accadendo e al di là delle diffuse reazioni di sdegno di fatto non è stato fatto nulla per fermare quanto stava accadendo.
Cos’è il Leoncavallo?
Il Leoncavallo originariamente nasce come centro sociale dall’occupazione di un’area dismessa di 3600 mq che si trovava in via Leoncavallo 22, da cui prende il nome, da un gruppo di militanti di diverse esperienze dei movimenti che caratterizzarono il ‘68 italiano.
Fin da subito le finalità sociali dello spazio sono chiare e i primi anni di vita del Leoncavallo sono caratterizzati dalla creazione di un asilo nido, una scuola materna, il doposcuola, la mensa popolare, il consultorio ginecologico e da tante attività culturali che si radicano nel territorio e danno il via a Radio Specchio Rosso, la Casa delle Donne e la Scuola Popolare.
Un momento fondamentale della storia del Leoncavallo è la morte di Fausto Tinelli (25 novembre 1959) e Lorenzo "Iaio" Iannucci (29 settembre 1959), due militanti della realtà milanese impegnati in una inchiesta sullo spaccio di eroina uccisi il 18 marzo 1978. L’inchiesta conclusa nel 2000 affermerà che vi è la possibilità concreta che gli omicidi è attribuibile all’estrema destra ma che mancano le prove per la condanna.
Quelli sono gli anni di una generazione distrutta dall’eroina e il Leoncavallo, come tanti altri spazi sociali di quegli anni, diventa un luogo di cura del prossimo. Nel frattempo però sono anche gli anni delle divisioni e delle fratture all’interno dei movimenti che, secondo la logica della non-esclusione di nessuno, frammenta le attività.
Gli anni ‘80 sono però anche la riconversione della periferia milanese di Casoretto da realtà industriale a zona sempre più residenziale. Sostanzialmente la gentrificazione dell’area porto il Leoncavallo a perdere progressivamente quel legame con il quartiere che lo contraddistingueva. Se ci pensi la periferia nord-est di Milano era sede di moltissime fabbriche e veniva considerata una estensione cittadina dell'area di Sesto San Giovanni definita la "Stalingrado d'Italia" e medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza.
Marx una volta scrisse che “la storia si ripete due volte, prima come tragedia poi come farsa". Nella primavera del 1989 l’immobiliare Scotti vendette lo stabile al gruppo Cabassi, il quale chiese all’amministrazione milanese lo sgombero al fine di demolire l’area e costruire uffici e negozi.
Venne effettuato un tentativo di sgombero il 16 agosto 1989 per approfittare del periodo vacanziero ma inaspettatamente ci fu una resistenza poderosa che nell’immaginario divenne un volano di aggregazione giovanile e rafforzò la base di nascita del movimento dei centri sociali in Italia.
Fino a qui tutto bene ma la tragedia fu nei momenti successivi a quella impresa perché le fratture all’interno del centro sociale fecero maturare diverse linee di azione politica che nel 1994 portano all’abbandono della sede storica, in linea con la nuova posizione non violenta assunta dai militati e la scelta di cercare la mediazione con partiti e istituzioni. A gongolare di questa scelta vi era l’allora sindaco di Milano, il leghista Marco Formentini, che aveva fatto del voler sgomberare forzatamente il Leoncavallo uno dei punti cardine della propria campagna elettorale.
Per un mese il Leoncavallo rimane senza sede ma l’8 settembre venne occupata l’ex cartiera in via Watteau (in zona Greco), sembra con l’avvallo non ufficiale del proprietario Marco Cabassi (figlio del proprietario della sede storica e attuale presidente del gruppo che detiene diverse holding immobiliari come Bastogi, Brioschi e Milanofiori). I Cabassi per alcuni anni non richiesero lo sgombero dell’immobile, qualcuno dice per il minor valore rispetto alla sede originale del Leoncavallo, e il centro si afferma come un nido per le controculture, come la cultura Hip-Hop. Nel 2006 Vittorio Sgarbi defini i murales dell'ex cartiera come "Cappella Sistina della contemporaneità”.
Sotto pressione del gruppo Cabassi, nel 2011 la giunta del sindaco Giuliano Pisapia apre un tavolo tra il centro e la proprietà Cabassi affinché la posizione venga regolarizzata. Si apre un lungo percorso che portò nel novembre 2024 alla condanna del ministero dell'Interno al risarcire per mancato sgombero di 3 milioni di euro a L'Orologio, società dei Cabassi e proprietaria dell'area.
La storia si ripete due volte, la seconda è una farsa
Marx usava questa frase con un piglio di ironia mista a tristezza. La “seconda volta” nel mio racconto del Leoncavallo avviene sempre ad agosto e sempre per sfruttare il periodo vacanziero.
Questa volta però non ci sono resistenze che nutrono l’immaginario, anche se molte persone si sono presentate agli ingressi della sede, e il Leoncavallo in realtà è stato lasciato solo molto prima, così come tante realtà che quotidianamente cercano di stabilizzare la propria posizione in dialogo con le amministrazioni.
Le realtà come il Leoncavallo vengono quotidianamente lasciate sole perché giorno dopo giorno il dibattito sugli spazi occupati vengono appiattiti dallo storytelling generale su questi spazi del confronto sulla legalità.
Ci dimentichiamo infatti che la legalità senza aspirazioni di giustizia, ossia tesa a quelle istanze di etica e funzione sociale, rischia di diventare mera burocrazia. E se la legge diventa burocrazia, il diritto invece di tutelare l’individuo si trasforma in strumento di riproduzione e affermazione di potere.
Molti hanno detto che chiedersi “allora Casapound” non è il punto focale ma per me il problema non è nella domanda che ci poniamo, bensì nelle risposte che diamo a questa domanda.
Nel rispondere a questa domanda dovremmo chiederci perché viene dato più valore a uno spazio privato occupato e non a quelli pubblici, perché un movimento incostituzionale può agire liberamente e perché una realtà come Casapound abbia una rete politica più forte e meno frammentata di tanti spazi che, a differenza di questi, perseguono istanze sociali.
Sono interrogativi su cui dobbiamo lavorare perché anni e anni di appiattimento politico hanno portato sempre più persone a non frequentare questi spazi, al di là dei casi specifici.
Dico questo perché il dibattito che ne è seguito non è stato un vero dibattito, anche in questo caso molti commenti festeggiavano “la cacciata delle zecche drogate” e la “vittoria contro il degrado”. Riducendo i centri sociali a una questione di “comunisti” (in un Paese in cui i più dicono che questa parola si anacronistica come il fascismo) e “droga”.
In realtà pochi a destra hanno parlato di “proprietà privata”, forse qualcuno ha provato ad accennare la questione dei “biglietti” che si pagano in occasione dei concerti che si tengono negli spazi sociali.
Anche se volessimo accettare questa narrativa, il problema latente è che cosi sembra accettabile solamente la droga e il degrado dei ricchi o dove gira il “grano”. Non mi è sembrato che ci fossero tutti questi paladini della legalità davanti a quello che succedeva nella Gintoneria. E ancora, ha senso paragonare i biglietti cos tossimi di stadi vuoti che vanno sold-out con quelli degli spazi sociali che spesso servono per autofinanziamento? Nell’opinione pubblica è forse cambiata la percezione di ciò che può essere ritenuto socialmente utile?
Il Leoncavallo è un laboratorio di controcultura e aggregazione che ha dato spazio a concerti, dibattiti, iniziative politiche e pratiche di solidarietà. In questi giorni si sta cercando una soluzione per il futuro delle attività, allo stesso tempo si stanno organizzando un assemblea pubblica il 2 settembre e un corteo il 6 settembre (qui più informazioni sull’iniziativa “Giù le mani dalla città”).
Milano è una città che si sente sola, dove in molti sentono la mancanza di veri legami sociali e di comunità. La chiusura di questi spazi dovrebbero innescare una profonda riflessione su come vogliamo “abitare” nella crisi climatica. Davvero ci bastano delle metropoli vuote che espellono i propri abitanti per inseguire il prossimo evento nell’ennesima “week di qualcosa”?
Ti giuro che tra poco arrivo al punto e che tiro questo benedetto filo rosso ma per completare il trittico, essendo queste lettere che parlano della crisi climatica, non posso far altro che condividere un pensiero su questa estate 2025.
L’estate più preoccupante degli ultimi 20 anni
L’estate appena passata è stata forse una delle più strane, con un Europa che si è alternata tra ondate di calore che potevano offrire la giusta scenografia per Tatooine, incendi che sembrano usciti dalla mente di Micheal Bay e piogge che hanno rievocato paure profonde. Anzi, mentre scrivo hanno annunciato l’ennesima allerta meteo della stagione.
Questa estate una persona mi ha detto “non si sa più se le persone vanno dietro al tempo o se il tempo va dietro alle persone, ogni volta che piove fa disastri e quando non più fa un caldo allucinante”. Credo sia la sintesi perfetta per quello che sta accadendo e di quanto sia urgente parlare di adattamento climatico.
Secondo il report pubblicato dall’Imperial Grantham Institute le ondate di calore avvenute tra il 23 giugno e il 2 luglio hanno triplicato la mortalità attesa per questo tipo di eventi estremi. In particolare ci sarebbero stati più di 2.300 decessi in eccesso in dodici grandi città europee, di cui circa 1.500 direttamente attribuibili al cambiamento climatico. Il Guardian ha invece pubblicato un articolo in cui riportava che secondo uno studio l'esposizione ripetuta alle ondate di calore sta accelerando l'invecchiamento delle persone, al pari dei danni da fumo, consumo di alcool o una dieta scorretta.
Oltre alla vita umana il pericolo è per la biodiversità, in Francia ad esempio l’ultima ondata di calore ha messo a dura prova le specie arboree che sono sempre più sensibili. In molte regioni francesi le foglie di alcuni alberi stanno già iniziando a cadere, un meccanismo di sopravvivenza dell'albero che se si ripete troppo spesso può portare alla morte. La Spagna invece è alle prese con gli incendi che da inizio agosto hanno devastato oltre 400.000 ettari di vegetazione e provocato 5 vittime.
Oltre al caldo abbiamo avuto piogge intense, alluvioni e allagamenti. Solo a inizio luglio Cogne è rimasta isolata a causa delle frane, il Frejus è esondato in pieno centro a Bardonecchia e la ruota panoramica di Lecco è crollata per la tempesta. Senza contare la paura per quanto è accaduto più volte nella Bergamasca e nell’alta val camonica. Eventi estremi che hanno risvegliato anche la paura dell’alluvione in Romagna e in tutta la provincia di Grosseto, dove nel 2012 era stata colpita profondamente Albinia.
Ecco davanti a tutto questo, ed è una sintesi velocissima di una estate, mi viene da dire che qualcosa non sta andando esattamente bene. Però ho tralasciato una notizia che riguarda le piogge intense e la tempesta che ha colpito il ravennate, il riminese e Milano Marittima. Esatto, la casa del famigerato Papeete.
Dico questo perché proprio il gestore del Papeete Massimo Casanova il 12 agosto si era scagliato contro la sinistra e i Governi precedenti a questo perché gli Italiani non vanno al mare. Anche se cita giustamente la progressiva scomparsa del ceto medio, le sue affermazione sono più del tipo “non è colpa dei prezzi dei lettini ma degli italiani che sono troppo poveri per permetterselo”. Insomma, lasciatemelo dire, il liberismo solo quando fa comodo a chi incassa.
Però eccoci qui, Massimo Casanova (ex europarlamentare leghista e storico amico di Matteo Salvini) in un intervista pubblicata sul Corriere della Sera alla domanda “lei non crede al cambiamento climatico?” ha risposto:
«Altroché. Questo invece è un problema serio. Il famoso anticiclone delle Azzorre ormai non esiste più... è cambiato tutto. In passato eventi estremi c’erano ogni 20 anni. Ora sono sempre più ravvicinati. E poi le ondate di caldo anomalo. Fenomeni che sono sicuramente conseguenza del cambiamento climatico».
Al di là del personaggio, che comunque giustamente chiede che venga fatto qualcosa senza che le persone vengano lasciate sole dopo il disastro, questo episodio è il simbolo di cosa significa la crisi climatica nella nostra società.
Si perché la persona che lo dice è molto vicino alla Lega ed è stato anche il rappresentate di uno dei principali partiti di governo. Un partito che da anni prende in giro e reprime chi denuncia la crisi climatica, a chiamare la Thunberg “gretina” quando ancora aveva 16 anni o a smantellare il Green deal proprio in seno alle istituzioni europee.
Ebbene, la crisi climatica purtroppo ancora oggi assume significato a livello sociale solo quando ci colpisce da vicino e ne parliamo ancora solo in termini economici, quando invece c’è molto altro. Il problema è che nell’opinione pubblica la crisi climatica assume significato solo quando le persone colpite hanno possibilità di far sentire la propria voce, però spesso ad avere voce sono solo quelli che ancora non risentono degli effetti dei cambiamenti climatici.
Il filo rosso: dove stiamo andando?
Lo so ho fatto una raffica preso dalle emozioni e dai sentimenti che ogni notizia mi ha suscitato. Ognuna forse poteva essere una lettera nella crisi climatica da sola ma non so se questa modalità avrebbe rispecchiato quello che intendo portare nella conversazione con te.
La società nella crisi climatica è frammentata e fratturata, forse dovremmo fare più lavoro per ricostruire un senso di unità e ricucire il tessuto sociale che va lacerandosi. Lo dico tante volte, abbiamo smesso di parlarci e ogni conversazione segue la dinamica social (e non sociale) delle polarizzazioni. Quando si parla di un argomento puoi essere solamente a favore o contrario e lo devi fare subito. Sono sicuramente d’accordo sul fatto che a un certo punto occorre prendere una posizione ma quello che si sta perdendo è la capacità di pensiero critico.
Pensare anche a questo è importate, perché se ancora seguiamo lo stile di quel cavaliere che urlava “povero comunista” a chi aveva solamente accennare a qualcosa un micron più a sinistra si lui forse un problema lo abbiamo. Proprio lui inoltre è stato il simbolo per una generazione che ha evidenti problemi con la sessualità e l’affettività.
Ora non sto dando la colpa a un morto ma a tutto quello che non si fa per fare in modo che quel morto non abbia più questo significato. Perché quelle “battute” di cui si è parlato non devono essere fatte e sopratutto in un ambiente medico che dovrebbe essere un luogo sicuro e di cura.
Dovremmo imparare a cogliere i segnali perché non è neanche tanto normale che un giovane ragazzo, un tirocinante in ginecologia e ostetricia, pensi e affermi liberamente di essere costretto a vedere troppe donne senza non poter consumare.
“Battute” senza il consenso delle persone coinvolte e che hanno il solo unico risultato di provocare disagio, dolore e malessere nella persona a cui sono dirette. Perché in una società senza legami e sempre più polarizzata le persone “altre” da noi diventano corpi vuoti da poter aggredire liberamente e su cui poter far valere il proprio potere.
Ripensare la socialità e la comunità dovrebbe essere una delle priorità nella crisi climatica perché, per dirla un pò alla milanese, non basterà la schighera a coprire gli effetti delle decisioni che stiamo prendendo. Ma questo non è un problema solo di Milano o dell’Italia. Questa estate sono stato a Bruxelles e ho avuto la sensazione di una città profondamente lacerata dalle disuguaglianze, con quartieri che in Messico definirebbero barrio pesado, e che forse sta lentamente marcendo nonostante le numerose esperienze sociali. Questa però è un altra storia ma mi chiedo: qual è il sogno europeo?
Torniamo alle nostre lettere nella crisi climatcia
Ormai stai imparando a conoscermi e avrai capito che adoro parlare della crisi climatica nei modi più disparati. Ogni scusa è buona e al di la di contenuti un po’ piu specifici vorrei sempre di piu farti vedere la società nella crisi climatica, almeno con i miei occhi, anche attraverso le tecniche dello storytelling, i videogiochi, i libri, i fumetti o i manga.
Questa breve estate mi ha generato molte idee e sto ancora cercando di ordinarle in qualche modo. Sono caotico per natura ma ho già qualche lettera in mente che vorrei scrivere. Però in questa equazione manchi tu, queste lettere sono rivolte a te e mi farebbe piacere sapere cosa vorresti leggere o semplicemente di cosa vorresti parlare.
Hai un libro, un manga o un videogioco che vorresti segnalarmi? Dimmelo pure magari già lo conosco e posso scrivere qualcosa su cui dialogare oppure potrei imparare a conoscerlo per poi parlarne. Oppure c’è una notizia che ti ha fatto particolarmente incazzare o un tema che vorresti approfondire perché pensi sia significativo per capire la società nella crisi climatica? Dimmelo, sono qui per ascoltarti e scrivere.
Insomma cosa aspetti? Iniziamo a parlarci ! Ti aspetto nella sezione commenti :)
Questa lettera è uno spazio per riflettere insieme sulla crisi climatica per andare oltre all’incomunicabilità con cui viviamo queste sfide. Quindi certamente ti leggo e ho cura di ogni tua interazione: scrivimi, commenta, condividi o lascia un cuoricino. Costruiamo insieme la community di Lettere nella crisi climatica.