
Referendum 2025: alcune riflessioni sul quorum non raggiunto
Il referendum sul lavoro e la cittadinanza non ha raggiunto il quorum, occorre iniziare a riflettere seriamente sulla crisi della democrazia
“Il referendum dell'8 e 9 giugno 2025 su lavoro e cittadinanza non ha raggiunto il quorum”, queste sono le parole che mi suscitano frustrazione e, forse, anche un pò di rabbia mentre scrivo questa Lettera nella crisi climatica.
Molte delle persone che hanno votato si stanno rodendo e ripetendo “in che paese di M. viviamo, è colpa nostra se le cose vanno così” oppure “milioni di precari invece di andare a votare se ne vanno al mare, poi avranno il coraggio di lamentarsi”. Altri ancora staranno invece gongolando per aver battuto i sinistrorsi e quei “comunistelli” dei promotori.
Calma, andiamo oltre e facciamo un respiro profondo per decomprimere la mente da tutti questi pensieri. C’è una luce in fondo al tunnel, speriamo solo che non sia un treno.
Come è andato il referendum su lavoro e cittadinanza?
Non c’è bisogno di dare un giudizio di valore come “bene” o “male”, dobbiamo attenerci al dato che l’affluenza è stata pari al 30,6%, ben lontana dalla soglia del 50%+1 degli aventi diritto necessaria per rendere valido il voto del referendum abrogativo.
Considerando che gli elettori in Italia sono circa 46 milioni e che si conta un 69% di astenuti, di fatto 35 milioni di persone hanno affermato: “il mio voto al referendum è inutile”.
Ferma li. So che stai pensando “Giorgia M. & Co. hanno fatto una campagna con i fiocchi e quei pelandroni gli sono andati dietro”. Riconosco le sue doti da grande narratrice e ci arriviamo dopo, ma proviamo a leggere in modo più complesso i dati.
Non pretendo di illustrarti una correlazione scientifica ma voglio solamente portare un punto di vista per riflettere. Prendilo come dei conti “tanto al chilo” sui risultanti del referendum dell’8 e 9 giugno 2025”.
Gli ultimi dati di Ipsos sul consenso indica che i tre partiti di maggioranza (Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega) insieme raggiungono una percentuale del 42%, in poche parole circa 19 milioni di italiani votano a destra.
Se prendiamo ora a riferimento il voto più identitario per la destra, quello sul quesito che riguarda la cittadinanza, possiamo idealmente pensare che circa 4 milioni di persone si sono presentate alle urne e hanno votato “no”.
Pertanto, se proprio vogliamo credere che Giorgia M. sia stata iper convincente con i suoi elettori, potenzialmente massimo 15 milioni di persone non sono andate a votare seguendo gli inviti del Governo.
Contando anche gli altri 9 milioni che hanno votato “sì” ci si chiede che fine hanno fatto gli altri 20 milioni di elettori che non sarebbero andati a votare e che attualmente non sostengono nessuno dei principali partiti di destra.
La risposta è difficile e semplice allo stesso momento ma ormai a ogni rituale elettorale abbiamo imparato il motivetto “il partito più forte è quello dell'astensione”. Tant’è che alle ultime elezione con cui Giorgia M. è diventata “il premier” si è registrata l’affluenza più bassa di tutte le politiche: il 62,9 % (30% di astensione). Proviamo prima a dare uno sguardo alla geografia del voto.
La geografia del voto al referendum 2025
Nella top 3 delle regioni per affluenza si registrano Toscana (39,1%), Emilia-Romagna (38,1%) e Piemonte (35,2%). Mentre tra le peggiori tre che hanno avuto una affluenza alle urne minore troviamo Calabria (23,8%), Sicilia (23,1%) e Trentino-Alto Adige (22,7%).
A livello provinciale l’affluenza più alta è stata registrata a Firenze (46,0%), seguita da Torino (39,3%), Milano (35,4%), Roma (34,0%) e Napoli (31,8%). In nessuna di queste, però, si è raggiunto il quorum. La provincia con l’affluenza più bassa Bolzano, dove ha votato appena il 15,9% degli elettori.
Complessivamente nella geografia del voto il Nord sembrerebbe generalmente più partecipativo del Sud ma non ci sono significative eccezioni in grado di ribaltare il dato nazionale.
Crisi della democrazia o crisi del referendum?
Sempre più frequentemente a livello globale, cosi come in Italia, abbiamo assistito diffusamente a una perdita di fiducia e di legittimità delle istituzioni agli occhi delle cittadine e dei cittadini insieme a un costante calo della mediana nella partecipazione delle e dei votanti alle elezioni nazionali (election turnout).
Ad esempio, in Italia a partire dal ’92, quando si attestava all’88%, si è assistito a un calo dell’affluenza sempre più drastico: se tra il 2008 e il 2013 è passata dall’80% all’75%, tra il 2018 e le ultime elezioni politiche del 2022 dal 73% al 62,9%. Tanti ricercatori e studiosi davanti a questi dati hanno iniziato a parlare di “crisi della democrazia”.
Ai referendum abrogativi non è andata tanto meglio: con questa tornata si arriva a 10 referendum abrogativi su 19 nella storia repubblicana in cui non si è raggiunto il quorum. Il trend è proseguito in maniera discendente senza interruzioni e ci fu solamente l’eccezione del 2011quando si votò su acqua pubblica, legittimo impedimento e nucleare con ancora negli occhi le immagini del disastro nucleare di Fukushima.
Ma quindi occorre concentrarsi sulla “crisi della democrazia” o sulla “crisi dei referendum”. Se mi segui da un pò sai che da qui nasceranno tante domande aperte a cui puoi rispondere nei commenti (se ancora non mi segui ricordati di iscriverti al canale).
Il voto non può salvare tutto
In questo referendum abbiamo usato il voto in maniera performativa con le mani che ci prudevano pronte a colpire chi ha agito per l’astensionismo. Tutto il dibattito del referendum è stato ridotto a un “atto di votare salvifico” e a dei meri calcoli politici fatti sulla base di sondaggi. Non è che ci stiamo concentrando fin troppo su dei caratteri formali della democrazia?
Subito dopo la notizia del mancato raggiungimento del quorum le prime reazioni sono state quelle di una destra che si sente più forte per come riesce a governare il potere, quello di una sinistra che si sente pronta a ripartire con quel numero di persone che hanno votato e una ampia fetta di persone che propone di abbassare il quorum sulla base dell’affluenza delle politiche o di eliminarlo in modo che “possa decidere solamente chi vota senza che decida chi si astiene”.
La questione del quorum è ovviamente complessa, il referendum abrogativo è uno degli istituti di democrazia diretta indicati dalla costituzione e quando venne scritta si discusse molto sul come limitare un istituto che ha il potere di limitare una legge votata dal parlamento. Insomma, non è una questione da poco e l’idea che tali materie debbano avere quanto meno una rappresentatività non è del tutto fuorviante.
La campagna referendaria nel Paese di M. ci ha però insegnato nuovamente come il Premier sia in grado di controllare la narrazione in modo magistrale e di come il suo elettorato abbia una fiducia enorme nei suoi confronti. Ovviamente molto ha fatto il controllo della maggioranza sui principali canali pubblici o accessibili (RAI e Mediaset) che non hanno parlato in alcun modo del referendum.
A questo si affianca il lavoro pervasivo fatto sui social con influencer che funzionano da cassa di risonanza delle idee della maggioranza (per fare un nome Matt Carus), ingenti investimenti (il partito di Meloni ha investito più di 200 mila euro solo nell’ultimo mese prima delle elezioni europee per sponsorizzate social) e pagine di “meme” che subdolamente rilanciano temi e idee utili alla narrazione generale (un esempio qui è Pastorizia Never Dies).
Contemporaneamente chi si reputa di un area più a sinistra di quella di M. ha iniziato ad abbandonare le piattaforme reputate più di destra, lasciando cosi spazi digitali o pubblici che vengono fagocitati. Sostanzialmente la sinistra è sempre meno presente nei luoghi, fisici o non, dove le persone usufruiscono di contenuti e in un certo modo si informano.
Certo la realtà sta diventando sempre di più un contenuto da consumare online, e questo è un problema, ma voler uscire da quegli spazi dove troppe persone fanno fatica a scollarsi potrebbe essere un enorme rischio. Forse sta diventando una lotta a chi crea la sua “bolla social più grande”?
Più volte poi dovremmo chiederci da quando e perché la sinistra è cosi odiata? Da quando l’odio verso l’etichetta “sinistra” è diventato più importante della sostanza dei singoli quesiti.
Da quando, ad esempio, l’astensione è diventata più importante di votare proprio per l’abolizione di quell’odiato “jobs act”. Su questi molti hanno detto di astenersi perché non volevano riparare i danni della sinistra andando a votare e spendendo i soldi pubblici. Dovremmo forse riflettere sul perché siamo arrivati a questo punto?
In ogni caso non dovremmo fermarci al solo “atto del voto” per capire lo stato di salute della democrazia in Italia o di quanto sta diventando tossica la dinamica partitica.
Sicuramente per me, che ho partecipato a questo referendum nel terzo municipio di Roma (uno di quelli con più affluenza), è stato bello vedere la gente votare e sentirmi parte di qualcosa ma questo non basta.
Come faremo a giustificare Governi sempre meno legittimati dalle tornate elettorali? Si può effettivamente reputare rappresentativo e legittimo un governo che ha raccolto 12 milioni di voti su 46 milioni di elettori? E come la mettiamo col fatto che il Paese invecchia a vista d’occhio, chi decide per le generazioni future?
Dovremmo tornare a riscoprire cosa significa “fare politica”, organizzarci per prenderci cura dei nostri territori e tornare a immaginare il futuro con una visione ben precisa mentre in tanti puntano il dito contro “l’ideologia”. Ma cos’è l’ideologia?
Forse occorre poi rivedere come ci governiamo attraverso istituti di democrazia partecipativa e deliberativa che mettono al centro le persone nella decisione pubblica. Perchè facciamo fatica a immaginare un Paese che restituisce quote di potere decisionale al proprio popolo?
Ma forse dobbiamo ricostruire proprio il popolo intendendolo come comunità fatta di legami, dialogo, confronti sulla sostanza delle questioni e memorie. Il rischio è che soffermando la nostra mente sull’atto di votare la democrazia rischia di diventare un rituale vuoto.
Magari possiamo realmente tornare a costruire il futuro che vogliamo lavorando giorno dopo giorno insieme agli altri partendo da quanto accaduto e da quelle persone che comunque sono andate a votare ricordandoci che anche loro sono esseri umani con carne, ossa, pensieri e preoccupazioni.
Alla fine di questa storia la domanda più importante forse è: come può funzionare una democrazia senza popolo (dèmos)?
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