La Giusta Causa: arriva la sentenza della cassazione sulla crisi climatica
Il 21 luglio 2025 le Sezioni Unite della Cassazione hanno pubblicato una importante sentenza per la Climate change litigation italiana
Da tempo si parla del fenomeno della climate change litigation, termine con cui si indicano tutte quelle azioni legali per affrontare la crisi climatica, e proprio su questo fronte abbiamo delle notizie importanti: mentre viene emesso il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia sugli obblighi degli Stati in materia di cambiamenti climatici, la Corte di Cassazione italiana ha pubblicato una sentenza storica contro ENI.
La “Climate change litigation”, conosciuta anche come contenzioso climatico basato sui diritti umani, grazie all’azione nei tribunali intende spingere i governi e le imprese ad agire con maggiore urgenza e a sviluppare la giurisprudenza sui cambiamenti climatici e sui diritti a essi connessi. Facendo ciò si può promuovere la giustizia climatica garantendo che tutti gli attori abbiano responsabilità e un ruolo nell’azione per il clima e far sì che le persone e le comunità che hanno subito danni a causa dei cambiamenti climatici possano ottenere dei risarcimenti. Ma ripercorriamo la sentenza della cassazione su “Giusta Causa”.
La “Giusta Causa”: cosa è successo?
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno emesso la sentenza sulla crisi climatica sul caso conosciuto come “Giusta Causa”, promossa da Greenpeace e ReCommon contro ENI, Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) e Cassa depositi e prestiti.
Ciò avviene in un contesto che, in particolare con l’approvazione del DL Sicurezza, reprime il dissenso e perseguita l’attivismo. Senza poi contare il crescente uso di SLAPP, acronimo che sta per Strategic Litigation Against Public Participation, con cui le imprese e i politici vogliono quello che fanno portando in giudizio giornalisti o attivisti ma senza anche parlare dell’affaire Paragon. Insomma sintomi del fatto che in Italia le cose non vanno propriamente bene.
Per quanto riguarda “Giusta Causa” è utile ricordare che proprio Antonio Tricarico di ReCommon è stato denunciato da ENI per diffamazione. Come riportato da Ajit Niranjan sul The Guardian (dovremmo domandarci perchè non si parla di queste cose sui media italiani?), dal 2019 l’ENI ha portato avanti sei cause per diffamazione ai danni di giornalisti e organizzazioni della società civile. Anche per questo la “Giusta Causa” è un segnale importante sul ruolo che può avere la società civile e sulle azioni contro la crisi climatica.
La posizione di Greenpeace e ReCommon in “Giusta Causa”
Greenpeace e ReCommon hanno chiesto al Tribunale di Roma di accertare l’inosservanza da parte di ENI, del MEF e di Cassa depositi e prestiti degli obblighi relativi al raggiungimento degli obiettivi climatici riconosciuti a livello internazionale, oltre che della responsabilità per i danni patrimoniali e non patrimoniali provocati dal cambiamento climatico (che si sommano al fatto che in Italia siamo ancora molto indietro sull’adattamento ai cambiamenti climatici).
Greenpeace e ReCommon, oltre alla condanna ad adottare le iniziative necessarie a rispettare gli scenari volti a mantenere l’aumento della temperatura entro l’1,5 °C, chiedevano:
la condanna dell'ENI alla limitazione del volume annuo di emissioni derivanti dalle attività industriali, commerciali e di trasporto dell'energia venduta
la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze e di Cassa depositi e prestiti all'adozione di una policy operativa che definisca e monitori gli obiettivi climatici di cui l'ENI dovrebbe dotarsi
Alla base di “Giusta Causa”, c’è la certezza che il riscaldamento globale e la crisi climatica producono gravi conseguenze sugli ecosistemi e sulle comunità umane dell'intero pianeta. Greenpeace e ReCommon affermano poi che le compagnie petrolifere, consapevoli degli effetti e dei costi della crisi climatica, hanno prima promosso campagne di disinformazione di massa e poi adottato comportamenti volti a simulare un impegno nel contrasto del cambiamento climatico.
Ad esempio, secondo Greenpeace e ReCommon, il colosso petrolifero italiano ha adottato un piano di decarbonizzazione al 2050 che non prevede il totale abbandono dei combustibili fossili e che contempla una riduzione delle emissioni di appena il 35% entro il 2030 con un incremento nella produzione di idrocarburi nel breve periodo, pur essendosi vincolata nel suo codice etico a rispettare i diritti umani e gli obiettivi dell'Accordo di Parigi.
La corresponsabilità del MEF e di Cassa depositi e prestiti sarebbe da rinvenire nel loro ruolo di azionisti di controllo dell'ENI, che ne hanno reso possibile l'attività inquinante e che ne traggono un utile. Inoltre hanno il potere di nominare parte dei componenti del consiglio di amministrazione, il presidente e l'amministratore delegato, nonché di parte dei componenti del Comitato sostenibilità e scenari e del Comitato controllo e rischi.
Le contestazioni di ENI, del MEF e di Cassa depositi e prestiti
Il giudice designato dal Tribunale civile di Roma nel fissare la prima udienza ha prima chiesto lo scambio di memorie integrative tra le parti e poi quelle conclusionali riguardanti solamente le contestazioni preliminari.
Tra queste ENI, MEF e Cassa depositi e prestiti evidenziano “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario”, sostenendo che in Italia non fosse possibile procedere con un contenzioso climatico. La domanda di ricorso di Greenpeace e ReCommon sarebbe inammissibile perchè non vi è giudice che possa accoglierla, in nome della separazione dei poteri tra giudiziario da un lato e legislativo ed esecutivo dall’altro.
Secondo ENI, inoltre, le richieste delle due organizzazioni non sarebbero giustiziabili perché incompatibili con “il proprio diritto di determinare la propria politica aziendale”, soprattutto per quanto riguarda le attività detenute all’estero ed attribuibili a società straniere “distinte e autonome” (anche se sono sue controllate).
Il MEF ha aggiunto che la causa sarebbe un’invasione della sfera riservata al legislatore in quanto l’Accordo di Parigi demanda la definizione delle modalità concrete per la sua esecuzione vincolando gli Stati solamente al perseguimento di un risultato comune. A distanza di quasi un decennio dalla sua approvazione, secondo il MEF, l’Accordo di Parigi non sarebbe operativo nel nostro Paese in quanto l’Italia lo avrebbe ratificato ma non avrebbe ancora approvato una legge di attuazione indicando modalità specifiche di raggiungimento degli obiettivi climatici, di conseguenza per il MEF nessun giudice potrebbe imporre il rispetto alle pubbliche autorità ed ai soggetti privati.
Cassa depositi e prestiti a sua volta ha contestato il fatto di essere responsabile delle condotte tenute da ENI perché le scelte gestionali sono rimesse esclusivamente al consiglio di amministrazione. In virtù della “mera partecipazione al capitale dell’impresa”, Cassa depositi e prestiti non si ritiene in grado di condizionare l’operato di ENI ma ritiene che l’Accordo di Parigi abbia efficacia vincolante soltanto per gli Stati.
Il precedente di “Giudizio Universale” e il ricorso alla cassazione
Il 26 febbraio 2024 lo stesso Tribunale civile di Roma però ha emesso la sentenza sul contenzioso climatico conosciuto come “Giudizio Universale”. L’azione legale, primo caso di Climate change litigation in Italia era mossa contro lo Stato italiano nella figura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per accertarne l’inadempienza nell’adottare politiche ed azioni climatiche in linea con il dettato e gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. In questo caso il giudice ha sentenziato l’inammissibilità della causa per difetto assoluto di giurisdizione, ritenendo che il potere giudiziario non abbia competenza, a differenza del legislatore e della politica, nel decidere le modalità di attuazione dell’accordo di Parigi da parte dei singoli Stati che hanno ratificato l’Accordo.
La sentenza, molto succinta e appellata dai promotori di “Giudizio Universale”, è un precedente negativo nella giurisprudenza italiana e contrasta con le decisioni di altri autorevoli tribunali dei Paesi europei e sovranazionali, come nel caso della Corte europea dei diritti umani. Dai fatti emerge un’interpretazione molto limitante del difetto assoluto di giurisdizione, che pare prevalere nel Tribunale di Roma, con implicazioni preoccupanti per i diritti sanciti, ad esempio, dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e dalla Convenzione di Aahrus.
Davanti a ciò e alla contestazione sul difetto di giurisdizione, i promotori di “Giusta Causa” hanno fatto ricorso al regolamento di giurisdizione alla Corte suprema di Cassazione, a cui hanno chiesto un pronunciamento in via definitiva. Come previsto dal codice di procedura civile, in altre parole si è chiesto direttamente alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione di rispondere alla domanda su “chi potesse o meno affrontare la questione”.
La decisione della cassazione su “Giusta Causa”
Come ti raccontavo, il 21 luglio 2025 le Sezioni Unite della Cassazione hanno pubblicato una importante sentenza per la Climate change litigation italiana e che ha fissato un primo standard. Anche sulla base del confronto con “Giudizio Universale”, per me fulcro della pronuncia, la Cassazione ha risposto su alcuni punti importanti sulla separazione dei poteri, sulla giurisdizione e (implicitamente) sul valore delle fonti internazionali.
Sull’ammissibilità del ricorso al regolamento di giurisdizione
Le Sezioni Unite della Cassazione riconoscono l’ammissibilità del ricorso al regolamento di giurisdizione da parte degli stessi promotori di “Giusta Causa” perché potrebbero essere sorti dei ragionevoli dubbi sui limiti esterni della giurisdizione del Tribunale di primo grado. A maggior ragione viene giustificato l’uso di questo strumento per le novità delle questioni oggetto dell’azione legale, dal punto di vista della giurisdizione e del merito della causa.
La Cassazione a tal proposito evidenzia che non ci sono precedenti nella giurisprudenza di legittimità, laddove in quella di merito l'unica pronuncia in qualche modo pertinente è solo la sentenza su “Giudizio Universale”(Trib. Roma, 26/02/2024, n. 3552). Una sentenza del medesimo Tribunale, emessa durante il procedimento principale di “Giusta Causa”, che si riferisce a una controversia analoga (ma non identica) e in cui ha dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione, escludendo che la domanda fosse conoscibile da alcun giudice ordinario o speciale, in ragione della mancanza dell'ordinamento di una norma di diritto astrattamente idonea a tutelare l'interesse dedotto in giudizio.
A questi motivi, la Cassazione aggiunge che le difese di ENI, MEF e Cassa depositi e prestiti hanno alimentato le incertezze in ordine alla spettanza al Giudice ordinario attraverso le numerose contestazioni.
Il contenzioso climatico in Italia: differenze tra “Giudizio universale” e “Giusta causa”
Nella lettura della sentenza è interessante notare che viene fatta una comparazione tra l’oggetto di “Giudizio universale” e quello di “Giusta causa”, ad oggi gli unici due esempi di contenzioso climatico in Italia. Anzi, la stessa Cassazione riconosce che i due casi si inseriscono nel noto filone “da tempo diffuso a livello internazionale e da poco approdato anche in Italia della c.d. climate change litigation”.
Le Sezioni Unite della Cassazione mettono in risalto il fatto che “Giudizio Universale” era proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri e che aveva ad oggetto l'accertamento della responsabilità extracontrattuale o da contatto sociale qualificato dello Stato per inadempimento dei doveri d'intervento e di protezione contro gli effetti degenerativi della crisi climatica a tutela dei diritti fondamentali della persona. In “Giudizio Universale” vi era poi la richiesta di condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri all'adozione di ogni necessaria iniziativa per l'abbattimento delle emissioni nazionali secondo gli obblighi internazionali e di rendere idoneo il Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC) al raggiungimento degli obiettivi climatici.
Per la Cassazione, sotto il profilo soggettivo, “Giudizio Universale” adotta un modello simile ad altre azioni europee contro la crisi climatica nei quali i contenziosi climatici erano rivolti contro lo Stato legislatore o lo Stato-amministrazione, al medesimo fine di ottenerne direttamente la condanna all'adozione di misure limitative delle emissioni climalteranti, oppure al diverso fine di ottenere la dichiarazione d'illegittimità costituzionale di atti normativi in materia ambientale recanti misure inadeguate al raggiungimento degli obiettivi climatici internazionali o la fissazione di termini per l'adozione di misure volte a ridurre le emissioni di gas serra nell'atmosfera.
Diversamente, le Sezioni Unite ritengono che “Giusta Causa” faccia parte del filone delle climate change litigation per il fatto di avere come destinatari:
una società privata, l’ENI viene considerata come tale a tutti gli effetti a seguito della trasformazione avviata con l'art. 15 del d.l. 11 luglio 1992, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359
un'amministrazione dello stato, in questo caso il Ministero dell’economia e delle finanze
un ente la cui natura è ancora piuttosto discussa, Cassa depositi e prestiti (pur a seguito della trasformazione in società per azioni prevista dall'art. 5 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326) sotto il profilo sostanziale può essere ritenuta un'amministrazione pubblica ad ordinamento autonomo
A tal proposito lo specifico riferimento agli artt. 2043, 2050, 2051 e 2058 cod. civ. renderebbe evidente che attraverso la domanda in esame i promotori di “Giusta Causa” hanno inteso far valere una responsabilità extracontrattuale per i danni cagionati dall'inottemperanza dell'ENI al dovere di adottare le misure necessarie per ridurre il volume di emissioni, in misura tale da consentire di raggiungere l'obiettivo fissato dagli accordi internazionali in tema di contrasto del cambiamento climatico. Ciò che appare poi dirimente per la Cassazione è che il MEF e Cassa depositi e prestiti sono stati chiamati in causa in qualità di azionisti di riferimento del colosso petrolifero che hanno omesso o usato inadeguatamente le proprie facoltà di soci per indirizzare l’operato di ENI verso il rispetto degli obiettivi. In nessun caso il MEF o Cassa depositi e prestiti sono stati convenuti nella veste di amministrazioni pubbliche.
In altre parole, non viene fatta valere una responsabilità dello Stato legislatore ma una responsabilità dei convenuti, quali soggetti operanti direttamente o indirettamente nel settore della produzione e distribuzione dei combustibili fossili, per la mancata adozione delle misure necessarie a ridurre le emissioni climalteranti prodotte dall'attività aziendale. Dalla distinzione tra i due casi discendono i ragionamenti delle Sezioni Unite della Cassazione.
Sulla separazione dei poteri
La Corte esclude che il sindacato del Giudice possa comportare un'invasione della sfera riservata al potere legislativo, configurabile soltanto quando il giudice ordinario o speciale non abbia applicato una norma esistente ma una norma da lui stesso creata (ossia esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete).
I giudici agiscono nell’ambito delle proprie funzioni quando si pronunciano su ricorsi legati all’inerzia legislativa. Questa non dà luogo ad un difetto assoluto di giurisdizione, neppure in relazione alla natura politica dell'atto legislativo.
Il difetto di giustiziabilità è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui si sostiene l'impossibilità di individuare nell'ordinamento una norma astrattamente idonea a tutelare l'interesse dedotto in giudizio. In ogni caso ciò non dà luogo ad una questione di giurisdizione ma ad una questione di merito la cui soluzione è demandata al giudice.
Tra gli altri, secondo la Cassazione l’esame della questione richiede al giudice di verificare anche la vincolatività, nei confronti dei singoli soggetti pubblici o privati, degli obblighi derivanti dagli accordi internazionali invocati e dalla CEDU, anche alla luce dell'avvenuto recepimento degli artt. 2 e 8 di tale Convenzione ad opera degli artt. 2 e 7 della CDFUE, nonché della recente pronuncia della Corte europea dei diritti umani sul caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera (n. 53600/20). In questo caso la Corte europea in considerazione della relazione causale esistente tra le azioni e/o le omissioni dello Stato in ordine all'adozione di misure idonee a impedire il surriscaldamento globale e i danni o il rischio di danni per i singoli individui, ha ravvisato nella mancata adozione delle predette misure da parte delle autorità statali una violazione dell'art. 8 CEDU, ritenendo che il diritto alla vita ed al rispetto della vita privata e familiare includa il diritto degli individui a una protezione efficace contro i gravi effetti del cambiamento climatico sulla loro vita, salute, benessere e qualità della vita.
Tale questione esula però dall’ambito del regolamento di giurisdizione su cui è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di cassazione, il quale verte esclusivamente sull'individuazione del giudice cui spetta la competenza giurisdizionale a decidere la controversia. Per questi motivi la Corte non si pronuncia su questioni di compatibilità con il diritto dell'Unione Europea, di legittimità costituzionale o relative al diritto interno.
Sulla giurisdizione
La Cassazione riconosce l’applicabilità della disciplina dettata dagli artt. 4, par. 1, e 7 n. 2 del Regolamento UE n. 1215/2012 in conformità del consolidato orientamento della giurisprudenza eurounitaria. In questo senso i tribunali italiani sono competenti nel luogo in cui è concretizzato il danno e da quello in cui si è verificato l'evento generatore di tale danno. La giurisprudenza eurounitaria ha poi chiarito che l'espressione «luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto» non può essere interpretata estensivamente fino al punto da comprendere qualsiasi luogo in cui possano essere avvertite le conseguenze lesive di un fatto che ha causato un danno effettivamente avvenuto in un altro luogo. Nella giurisprudenza viene precisato che:
il luogo in cui si è verificato l'evento generatore del danno si identifica con quello in cui è stata tenuta la condotta lesiva
per individuare il luogo in cui si è concretizzato il danno occorre avere riguardo al «danno iniziale», e non alle conseguenze negative derivanti da un pregiudizio verificatosi altrove
Per rispondere alla contestazione sul difetto di giurisdizione del Giudice italiano, in particolare per il risarcimento dei danni provocati all’estero, la Corte fa riferimento ai criteri di collegamento che abbiamo appena visto.
Ai fini dell'applicazione dei criteri la Corte considera però che le emissioni climalteranti, pur avendo la loro origine nel luogo in cui si svolgono la produzione, il trasporto e la commercializzazione dei combustibili fossili, hanno una portata naturalmente diffusiva, estendendo i loro effetti all'intera atmosfera terreste, nell'ambito della quale si determina l'incremento della temperatura globale che accelera il cambiamento climatico. La situazione viene complicata dal fatto che la lesione del diritto alla vita ed alla vita privata e familiare si verifica invece nel luogo in cui i ricorrenti risiedono, dove è destinata a determinarsi quella compromissione dell'aspettativa di vita, delle condizioni di salute e della qualità complessiva dell'esistenza, che costituisce l'effetto ultimo della sequenza causale innescata dalla crisi climatica.
Sulla base di tali considerazioni le Sezioni Unite della Cassazione affermano che:
il luogo in cui si verifica l'evento generatore del danno dev'essere individuato in quello (o in tutti quelli, avuto riguardo alla pluralità di luoghi e di Stati in cui si svolge direttamente o indirettamente l'attività dell'ENI) in cui si producono le emissioni climalteranti
il luogo in cui si concretizza il danno fatto valere dai ricorrenti va identificato in quello in cui gli stessi ricorrenti risiedono
L’utilizzazione del primo criterio porterebbe ad individuare una pluralità di giudici competenti, identificabili in quelli di ciascuno dei Paesi (compresa l'Italia) in cui si producono le emissioni. Nel caso in cui la Cassazione è chiamata a pronunciarsi non assumono quindi rilievo le emissioni prodotte da soggetti che, pur appartenendo al gruppo d'imprese facente capo all'ENI non s'identificano giuridicamente con quest'ultima, essendo dotati di una personalità giuridica distinta ed autonoma ed avendo la loro sede in Paesi diversi dall'Italia.
L'applicazione del secondo criterio consente invece di affermare che la giurisdizione in ordine alla pretesa risarcitoria avanzata dai promotori di “Giusta Causa” spetta all'Autorità giudiziaria italiana. In proposito, la Corte evidenzia che i promotori, nel ricostruire la sequenza causale generatrice del danno allegato ne hanno individuato l'origine nella strategia industriale e commerciale dell'ENI, la cui elaborazione spetta in definitiva agli organi di governo della società che operano nel luogo in cui la stessa ha la sua sede legale ed operativa. Questi elementi permettono alla Corte di collocare la condotta dannosa nel territorio nazionale, con la conseguenza che, anche sotto tale profilo, la competenza giurisdizionale dev'essere assegnata all'Autorità giudiziaria italiana.
Se da una parte l’elaborazione e approvazione della strategia industriale e commerciale dell’intero gruppo è responsabilità dell’ENI, dall’altra spetterà al giudice di merito accertare l’imputabilità delle emissioni prodotto dalle società controllate che sono parte del gruppo in considerazione del fatto che mancano misure necessarie per ridurre le emissioni climalteranti che costituiscono l'evento generatore del danno.
Cosa significa per il contenzioso climatico in Italia?
Il verdetto delle Sezioni Unite della Cassazione ha sostanzialmente dato ragione ai promotori di “Giusta Causa” e con la sentenza viene dichiarato che la giurisdizione spetta all'Autorità giudiziaria italiana, con la conseguente rimessione del giudizio di merito al Tribunale di Roma.
Si tratta di una sentenza storica perché si afferma chiaramente che anche in Italia è possibile portare avanti iniziative di Climate change litigation e che i giudici potranno finalmente esaminare il merito della causa. In alcune mie vecchie pubblicazioni avevo osservato quanto questi sviluppi giurisprudenziali coraggiosi e innovativi potessero colmare le lacune presenti in materia di cambiamenti climatici fino a tutelare i diritti delle generazioni future e guardavo con fiducia il lavoro giurisprudenziale della Corte europea dei diritti umani per gli effetti che ci sarebbero potuti essere sugli ordinamenti nazionali.
Questa sentenza segna un cambiamento significativo nello scenario italiano e per la prima volta l'azione è diretta contro un’impresa privata per le sue politiche industriali ritenute dannose per il clima e in violazione di obblighi nazionali e internazionali. Inoltre, due enti pubblici sono citati in giudizio in qualità di azionisti. Un aspetto molto interessante, su cui si aspetta con ansia il giudizio di merito del Tribunale di Roma, è che le Sezioni Unite chiariscono che i giudici italiani sono competenti anche in relazione alle emissioni climalteranti emesse dalle società di ENI presenti in Stati esteri, sia perché i danni sono stati provocati in Italia, sia perché le decisioni strategiche sono state assunte dalla società capogruppo che ha sede in Italia.
La pronuncia della Cassazione stabilisce un primo standard in materia di contenzioso climatico in Italia. Oltre al diritto interno, compresa la Costituzione italiana, secondo la pronuncia devono essere presi in considerazione gli obblighi internazionali derivanti dalla UNFCCC e dalla CEDU, che vincolano sia gli attori pubblici che quelli privati. La Corte ricorda gli articoli 2 e 8 della CEDU, alla luce della sentenza KlimaSeniorinnen c. Svizzera (aprile 2024), e gli articoli 2 e 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Tali fonti devono essere prese in considerazione dal giudice di merito, anche in altri procedimenti giudiziari.
Anche se toccherà aspettare il verdetto del giudice, questo avrà il compito di verificare se le fonti internazionali e costituzionali invocate (o altre norme, eventualmente individuate dal Giudice di merito) risultino idonee ad imporre un dovere d'intervento direttamente a carico di ENI, del MEF e di Cassa Depositi e Prestiti tale tale da fondare una responsabilità extracontrattuale degli stessi, e quindi da giustificarne la condanna al risarcimento in forma specifica, ai sensi dell'art. 2058 cod. civ.
Infine, senza ombra di dubbio viene riconosciuto il diritto ad agire per la tutela dei diritti umani di fronte a un giudice italiano quando gli effetti del cambiamento climatico si verifichino in Italia e quando le decisioni che hanno contribuito al cambiamento climatico siano state prese in Italia.
E tu, cosa ne pensi? C’è qualche aspetto che ti ha colpito di questa storia o qualcosa che non ti è chiaro su cui posso aiutarti?
Questa lettera è uno spazio per riflettere insieme sulla crisi climatica per andare oltre all’incomunicabilità con cui viviamo queste sfide. Quindi certamente ti leggo e ho cura di ogni tua interazione: scrivimi, commenta, condividi o lascia un cuoricino. Costruiamo insieme la community di Lettere nella crisi climatica