Salvare il pianeta dall’ottimismo capitalista
Forse dobbiamo riflettere sull’articolo “Salvare il pianeta dagli ambientalisti” di Roger Abravanel
Conversare sulla società nella crisi climatica vuol dire anche parlare di articoli come “Salvare il pianeta dagli ambientalisti” di Roger Abravanel, pubblicato sul Corriere della Sera il 29 settembre 2025. Per quanto possiamo non essere d’accordo con quello che c’è scritto nell’articolo, l’idea è quella di creare uno spazio di dibattito e di riflessione perché la crisi climatica è dannatamente complessa.
Come sempre ho cercato di fare qualche ricerchina online per capire chi è Roger Abravanel, nei vari articoli la presentazione è un po sempre la stessa: ebreo italiano nato nel 1946 in Libia e costretto a fuggire in Italia a causa delle violente persecuzioni quando aveva sedici anni, è stato premiato due volte come “più giovane ingegnere d’Italia e attualmente è “Director Emeritus” di McKinsey (azienda globale che si occupa di consulenza) con cui ha lavorato per 35 anni e fondato l’ufficio di Tel Aviv nel 2000.
Perché ne parliamo? Il fulcro del pezzo è Greta Thunberg e di come quello che rappresenta, secondo Roger Abravanel, sia nocivo per la lotta ai cambiamenti climatici.
Cosa è successo a Greta Thunberg e la disillusione dei liberisti
Il nome di Greta Thunberg abbiamo iniziato a sentirlo quando nel 2018, all’età di 15 anni, decide di non andare a scuola e di scioperare ogni venerdì davanti al parlamento svedese per chiedere al Governo svedese di rispettare gli Accordi di Parigi. Se inizialmente tutto ciò doveva terminare alle elezioni legislative più vicine, sappiamo benissimo come da un’azione spontanea sia nato un movimento che via via ha assunto una portata globale, i Fridays for Future.
Questa è la versione “comoda e fraintesa” di Greta Thunberg che è piaciuta a Governi e imprese, anche se molti vecchi di m**** si sono scagliati su una ragazza urlandogli “gretina”. Era forse una versione “comoda” perché permetteva di rispondere “Sì” e di prendere tempo ma evidentemente fraintesa perché nel giro di poco tempo ha iniziato ad accusare i “bla bla bla” dei politici.
Questa “prima” Greta Thunberg è quella che piace anche a Roger Abravanel perché “trasformò un tema tecnico e scientifico in un movimento globale” facendo si che i cambiamenti climatici venissero percepiti come una questione di tutte e tutti, non un monopolio di persone esperte. Roger Abravanel la vede questa figura di Greta Thunberg in linea con quello che ha scritto nel saggio “Le grandi ipocrisie sul clima” poiché ha agito sul “triangolo della sostenibilità” spingendo la politica (il secondo vertice del triangolo) a prendere sul serio la transizione con politiche di incentivi per le imprese (terzo vertice). Come parte del triangolo l’attivismo deve adottare un atteggiamento pragmatico.
Ma la disillusione di molti liberisti e di persone come Roger Abravanel sta proprio in quello che è successo a Greta Thunberg negli ultimi anni. Secondo Abravanel infatti “Greta non esiste più da anni”, è diventata una estremista ideologica di sinistra! Il J’Accuse è quello di aver trasformato il dibattito sui cambiamenti climatici in una “arena estremista che mescola capitalismo, diseguaglianze, gender gap, colonialismo, antisionismo”.
Eh sì, il problema che molte e molti hanno con Greta Thunberg in realtà è che parla di diritti umani, disuguaglianze o mondi diversi da quello attuale in cui magari non ci siano atroci genocidi grazie alla complicità internazionale. O semplicemente gli è andata di traverso tutta la questione della Global Sumud Flotilla, Abravanel stesso scrive: “Oggi abbiamo bisogno di ben altro che di una Greta che guida la freedom flotilla verso Gaza”.
Uscire dalla retorica dell’ottimismo capitalista
Questo caso mi fa venire in mente che dobbiamo uscire dalla retorica dell’ottimismo capitalista per fare qualche passo in avanti. Con “ottimismo capitalista” mi riferisco semplicemente alla fiducia (cieca) in un modello economico e sociale che promette prosperità eterna e progresso, anche se questo ha dimostrato più volte di aver fallito e che tutto sommato non sta proprio bene.
Certo non voglio semplificare però sono nato nel 1996 e fino a oggi ho vissuto alcune delle più grandi crisi che hanno indirizzato la società nella crisi climatica. Puoi chiamarlo terrorismo, eccesso di fiducia nella finanza, pandemia, o “il partito degli astenuti ha vinto ancora” ma è evidente che qualcosa si sia inceppato e che questo qualcosa si parli almeno in minima parte con il modello che ci ostiniamo a usare.
Certo, non mi aspetto che una persona come Roger Abravanel, che ha lavorato per McKinsey & Company, si è fatto portavoce con la senatrice Gelmini di programmi sulla “meritocrazia” e che non condivide l’esistenza di un genocidio del popolo palestinese sia d’accordo con quello che rappresenta Thunberg oggi. Però mi aspetto che il dibattito sia portato avanti correttamente per uscire dalla retorica dell’ottimismo capitalista.
Accusare il “wokeismo”, la DEI (Diversity, Equity and Inclusion), gli ESG (Environment, Social e Governance) e sotto sotto anche le norme sulla Due Diligence in un solo paragrafo non aiuta a “concentrarsi sull’emergenza climatica”. Scagliarsi genericamente sulla “burocrazia” e “sull’ipocrisia di banche e imprese” che si occupano di questi temi, deresponsabilizzando le altre che non ci provano neanche, sicuramente aiuta più i paladini del “capitalismo duro e puro”. Non so che ne pensi ma ho paura che in questo caso dovremmo aspettare un buon numero di “imprese illuminate”.
Dire invece che “gran parte del mondo non dà troppo peso alla Freedom Flotilla di Greta” e che i “Fridays for Future tedeschi si sono dissociati dalla fondatrice del movimento” riduce la complessità della realtà in cui viviamo. Prima di tutto ciò invisibilizza milioni di persone che in numerose città (non solo italiane) hanno seguito giorno e notte sui cellulari quanto accadeva, vedevano i video trasmessi in diretta e sono scesi in piazza in gran numero per più giorni di fila come non accadeva da anni.
Se ne trascura inoltre il valore potente che ha quell’azione della Global Sumud Flotilla nell’immaginario e nell’anima delle persone: dire al mondo e ai palestinesi che noi ci siamo, che non importa quanto sia grande il potere delle persone che stanno decidendo ma faremo tutto quello che possiamo fare perché vogliamo un mondo diverso.
I Fridays For Futures tedeschi non possono essere presi come termometro di quanto stiamo assistendo in questi mesi. Semplicemente si ignorano le aspirazioni personali di persone come l’attuale leader di Friday for Future Germania Luisa Neubauer, la cui popolarità è andata oltre il movimento e che ha già intrapreso una carriera politica in un Paese in cui è enorme il senso di colpa per l’olocausto. Si perché nei movimenti esistono anche persone e personalità, non sono “bot” comandati da Soros come qualcuno si sogna la notte.
Ci tengo a specificare che scrivo questa lettera perché mi sono trovato davanti all’articolo di Roger Abravanel ma credo che, come quando ti ho parlato del libro di Vannacci, rappresenti ancora il punto di vista di tante persone. Ad esempio, per Roger Abravanel il problema non è tanto che ci sia qualcuno che chieda soluzioni ai cambiamenti climatici ma lo sono “l’ideologia estremista anticapitalista e il mantra della «sostenibilità» che avrebbero aperto a un grande nemico della lotta al clima”. Per poi aggiungere:
“È stato facile per Trump fare appello alla società civile americana che non si ritrova in queste idee per sostenere che la battaglia verde non è più una questione scientifica, ma politica. E milioni di cittadini, confusi e disillusi, finiscono per crederci. Negli Usa come in Europa”
Ecco, il punto è proprio qui. La crisi climatica non è una questione che si può trattare in un territorio ipoteticamente neutro, come se bastasse mescolare tra loro il contenuto di diversi alambicchi. La dimensione politica, intesa come dimensione di creare una comunità e orientarla verso un orizzonte comune, è fondamentale per far si che la famigerata transizione verde sia desiderabile.
Per farlo è importante capire chi ne trae vantaggio e chi no, perché una transizione verde che aumenta le disuguaglianze e che non coinvolge chi già è in una condizione di vulnerabilità non potrà mai essere condivisa. Tenere conto di questi aspetti ci permette di rimanere vigili sugli effetti indesiderati come imprese che chiudono, persone che perdono i posti di lavoro o famiglie che non riescono ad accedere a sussidi o bonus. Ma mi piacerebbe conoscere il tuo punto di vista su questo nei commenti.
Eh poi no, la nostra generazione di attiviste e attivisti non cerca solo occasioni di protesta contro “il fossile, il capitalismo o Israele” ma ogni giorno lavora per proporre soluzioni informate, pragmatiche e costruite insieme alle comunità, per la mitigazione e per l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Molte e molti di noi non hanno l’età di Greta Thunberg, che è ancora giovane (22 anni, ma comunque come tutti noi soggetta al passare del tempo, e non “devono diventare adulti” per poter partecipare al mondo dei grandi. Finché non ci tratterete come bimbi incapaci di immaginare il futuro e non ci riconoscerete in quanto parte della comunità che deve decidere la rotta, il divario tra di noi rimarrà grande cosi come il conflitto intergenerazionale che nutrite ogni giorno.
Non basta metterci a tacere dicendo che non andremo da nessuna parte senza i nostri smartphone, le case riscaldate o le comodità partorite dal capitalismo, nessuno ha mai professato il ritorno alla caverna di Platone. Nascondere le proposte delle e degli attivisti dietro il dito dell’anticapitalismo è semplicemente una cavolata che non viene neanche argomentata dagli accusatori. Che poi, alla fine di questa lettera, mi viene da dire: ma è così brutto pensare a un mondo in cui possiamo stare meglio? perché non possiamo immaginare un futuro diverso da questo capitalismo?
E tu cosa ne pensi? Come renderesti più desiderabile la cura della crisi climatica? Ti aspetto nella sezione commenti :)
Questa lettera è uno spazio per riflettere insieme sulla crisi climatica per andare oltre all’incomunicabilità con cui viviamo queste sfide. Quindi certamente ti leggo e ho cura di ogni tua interazione: scrivimi, commenta, condividi o lascia un cuoricino. Costruiamo insieme la community di Lettere nella crisi climatica.