COP30: iniziano i negoziati per il clima di Belém
La COP30 di Belém è stata definita come la COP della verità con cui capiremo il futuro dei negoziati per il clima
I negoziati per clima giungono alla loro trentesima edizione a Belém, nel cuore dell’Amazzonia, con l’obiettivo di affrontare il tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici.
La Conferenza delle Parti (Conference of the Parties - COP) di Belém avrebbe dovuto essere il negoziato della svolta in cui finalmente coordinare l’azione globale per limitare l’aumento delle temperature sotto gli 1,5°C se non fosse che questo obiettivo è stato dichiarato ormai irraggiungibile. Siamo in un punto in cui dobbiamo accelerare per rendere l’aumento delle temperature il più contenuto possibile ed evitare di aumentare le disuguaglianze che aumentano le profonde condizioni di vulnerabilità delle comunità e dei territori.
I negoziati per il clima però sono ormai entrati nel vortice delle dinamiche geopolitiche, è sempre stato un pò così ma ora stanno frammentando il fronte comune che sarebbe necessario per raggiungere risultati concreti e condivisi: la Cina guida il G77 concentrandosi sulla finanza più che sui tagli alle emissioni, Trump si fa da parte con il recesso degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi e l’Italia mantiene una posizione ambigua e attendista senza tenere conto del fatto che anche noi siamo tra i Paesi più fragili nella crisi climatica.
La COP30 di Belém rischia di trasformarsi da momento di svolta a ennesimo negoziato per il clima delle promesse mancate (almeno per il terzo anni di fila), eppure ci sono dei segnali di speranza laddove emergono nuove leadership nelle città ed aumento il riconoscimento del fatto che la crisi climatica è anche una crisi di giustizia razziale e sociale.
Se vuoi scoprire di più sulla COP30 di Belém e sul futuro dei negoziati per il clima non ti resta che leggere questa lettera nella crisi climatica!
Le premesse di COP30 al World Leaders Climate Action Summit
I negoziati per il clima di Belém si sono aperti con il consueto World Leaders Climate Action Summit che si è tenuto il 6 e il 7 novembre, anticipando ufficialmente l’apertura della COP30. Il World Leaders Climate Action Summit è il vertice dei Leader che prendono parte ai negoziati per il clima precedendo la COP vera e propria riservando un momento ai leader politici per coordinare le diverse posizioni, testare la volontà dei paesi e verificare la coerenza degli impegni già assunti nei precedenti negoziati per il clima.
Per questo davanti a 143 delegazioni, tra cui 57 capi di stato e 39 ministri da tutto il mondo, António Guterres (segretario generale delle Nazioni Unite) e Luiz Inácio Lula da Silva (presidente del Brasile per gli amici conosciuto anche solo come Lula) hanno dato avvio alla COP30 di Belém con un messaggio semplice: non c’è più tempo da perdere.
Eppure in questo caso sembra più veritiera la targa della DeLorean che appare per pochi secondi nel primo film di Ritorno al futuro: OUT A TIME, fuori dal tempo. Perché sì, siamo fuori tempo massimo e per questo Guterres nell’intervento con cui ha aperto il World Leaders Climate Action Summit ha detto:
“Science now tells us that a temporary overshoot beyond the 1.5 limit – starting at the latest in the early 2030s – is inevitable...If we act now, we can make the overshoot as small, as short, and as safe as possible – and bring temperatures back below 1.5°C before century’s end [by] peaking global emissions immediately; by reaching global net zero by 2050, and by drastically increasing investments in adaptation and resilience.... We can choose to lead – or be led to ruin. Choose to make Belém the turning point.”
Insomma l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura media globale sotto gli 1,5 °C è andato a farsi friggere, non è più raggiungibile ma qualcosa possiamo ancora fare per rendere questo aumento il più contenuto possibile e riportare le temperature sotto questa soglia entro il 2100. Quindi anche per scegliere verso quale futuro andare la COP30 di Belém deve rappresentare un punto di svolta.
Senza mezzi termini António Guterres ha parlato di un “fallimento morale e politico”, una colpa da attribuire all’inazione dei governi e ai modelli economici ancora legati ai combustibili fossili. Ciò contribuisce ad approfondire le disuguaglianze sociali perché non dobbiamo mai dimenticare che la crisi climatica ha un carattere profondamente diseguale.
Gli strumenti per reagire ci sono ma manca l’intenzione politica per usarli e occorre quella che Guterres chiama “decade di accelerazione” per diminuire il divario tra impegni nazionali (Nationally Determined Contributions, NDCs) e obiettivi degli accordi, avere una roadmap chiara sul phase-out dal fossile e mobilitare 1.300 miliardi di dollari l’anno in finanza climatica entro il 2035, con priorità all’adattamento, alle comunità in condizione di vulnerabilità e al fondo “Loss and Damage”.

Come sempre in occasione dei negoziati per il clima occorre porre attenzione sul Paese ospitante e sulle dichiarazioni del presidente, in questo caso il brasiliano Lula che ci ha tenuto ad affermare che il pianeta non può più sopportare un modello di sviluppo fondato sull’uso intensivo di combustibili fossili.
Nonostante ciò dobbiamo poi ricordare le enormi contraddizioni del Brasile, da una parte uno dei Paesi più ricchi di biodiversità che ospita la maggior parte dell’ecosistema della foresta amazzonica, mentre dall’altra l’economia brasiliana è ancora profondamente estrattivista. Basti solo ricordare che il più importante attore energetico del Brasile è la Petrobràs, gruppo petrolifero nato nel 1953 con lo slogan “il petrolio è nostro” e che a partire dagli anni ‘80 ha aperto numerosi giacimenti di petrolio o finanziato esplorazioni per nuovi giacimenti.
La COP30, come detto dallo stesso Lula, sarà quindi davvero il negoziato per il clima della verità ma lo sarà sia per tutto il mondo, sia per lo stesso Brasile. Comunque Lula ha ribadito l’impegno del Paese a ridurre tra il 59% e il 67% le emissioni entro il 2030 e di azzerare la deforestazione della foresta Amazzonica.
Il futuro dei negoziati per il clima si gioca alla COP30 di Belém
António Guterres e Lula hanno provato a dare una forte direzione alla COP30 di Belém cercando di far passare il messaggio che la politica deve riappropriarsi la responsabilità del futuro, d’altronde proprio qui si gioca il futuro dei negoziati per il clima.
Ci sono numerosi “ma” che fanno pensare che le COP siano in una fase di stallo e che stiano perdendo la propria forza trasformativa, forse anche perché si sta perdendo un obiettivo comune. Ancora non si sa quale possa essere il migliore esito possibile per la COP30 e lo scopriremo nelle prossime settimane.
Si sta andando a normalizzare il fatto che l’obiettivo di limitare l’aumento delle temperature sotto il grado e mezzo sia irraggiungibile, pertanto la tendenza sembrerebbe essere quella di una progressiva marginalizzazione della mitigazione dei cambiamenti climatici (ossia la riduzione delle emissioni) nei negoziati per il clima per lasciare più spazio all’adattamento ai cambiamenti climatici e alla finanza climatica.
L’opening statement della Cina e dei G77 alla COP30
Il problema è che non sembra molto chiara la direzione che verrà presa durante questa COP30 e che i temi della transizione energetica, cosi come quello delle sviluppo tecnologico, seguono sempre più dinamiche geopolitiche con la Cina che sta assumendo un ruolo di forte leadership dei paesi in via di sviluppo riuniti sotto il cappello del G77 (che attualmente riunisce 134 paesi).
Con questo atteggiamento la Cina sta riuscendo ad imporre la propria prospettiva su molti dossier dei negoziati per il clima concentrandosi sui propri obiettivi. Quello che interessa alla Cina in questo momento è quello di assicurare i flussi finanziari e le richieste di supporto, facendo dei passi indietro sull’urgenza dei tagli delle emissioni anche ignorando il fatto che si tratta del primo negoziato per il clima in cui è ben certo che qualcosa non sta funzionando.
Le COP degli ultimi 30 anni avevano trovato la propria ragion d’essere nella collaborazione e nella co-progettazione del futuro del pianeta fissando degli obiettivi ben precisi sui tre filoni della mitigazione, dell’adattamento climatico e della cooperazione internazionale.
Sembra di essere arrivati in un momento in cui le COP hanno raggiunto i propri obiettivi: il protocollo di Kyoto ha esaurito il proprio mandato, sono passati 10 anni dall’approvazione dell’Accordo di Parigi e ora tutti gli aspetti lasciati aperti potrebbero trovare un definizione nel corso dei negoziati per il clima di Belém.
Insomma occorrerebbe attuare quegli obiettivi tenuti che siamo riusciti ad accordare ma allo stesso tempo serve una decisiva accelerazione. Per questo una nuova dinamica geopolitica con due blocchi ben precisi in contrasto tra loro, e che al proprio interno non sono del tutto pronti per questa transizione, può essere rischiosa per il futuro del pianeta.
Gli Stati uniti di Trump contro i negoziati per il clima
Ancora molto discusso è poi il ruolo degli Stati Uniti di Trump che ha nuovamente espresso e comunicato l’intenzione di uscire dall’Accordo di Parigi determinando un posizione incerta e fragile. Gli effetti del recesso dall’Accordo di Parigi per gli Stati Uniti, secondo l’articolo 28, possono avere effetto solo un anno dopo la notifica e risulta essere principalmente mosso da una motivazione politica.
Non dobbiamo infatti dimenticare che gli Stati Uniti fanno ancora parte della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e che, oltre a essere più complicato dato che è stata ratificata dal congresso degli USA dove Trump non ha i numeri, in caso recesso il Paese sarebbe tagliato fuori da tutti i negoziati per il clima, perdendo la possibilità di condurli e trovare il compromesso più adatto alle proprie intenzioni.
Gli Stati uniti stanno poi definanziando la propria partecipazione al segretariato della Convezione quadro, con una sostituzione da parte delle fondazioni che gettano nuovi interrogativi su una privatizzazione dei negoziati per il clima. Detto ciò una parte di Stati uniti sarà presente con una rete, America is all in, che comprende governatori, sindaci, imprenditori, scienziati e personalità di rilievo.
La posizione dell’Italia nella COP30 di Belém
Inoltre, come non volgere lo sguardo al nostro paese e alla posizione dell’Italia prima della COP30 di Belém. Da un certo punto di vista fortunatamente l’Unione Europea affronta i negoziati per il clima con una posizione comune e la stessa Italia negozia come parte dell’Unione.
Tutto sommato il fatto che l’Unione Europea tratti con una posizione comune è un aspetto importante e significativo nei negoziati per il clima. L’Unione arriva per questo alla COP30 di Belém con un obiettivo interno di riduzione delle emissioni del 90% entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990. Il vista dei negoziati per il clima, l’Unione europea ha consegnato al segretariato dell’ UNFCCC il nuovo NDC europeo, che punta a ridurre le emissioni al 2035 tra il 66,25% e il 72,5%, segnalando la determinazione a mantenere la rotta.
L’Italia comunque non manca di avere una posizione ambigua e cerca di spingere per indebolire i target climatici europei (come quello della riduzione delle emissioni al 2040) o di sostenere il gas e il nucleare come fonte di transizione. Senza contare che il Fondo Italiano per il Clima, lanciato dal governo Draghi nel 2022 con la promessa di mobilitare oltre 4 miliardi di euro in cinque anni, non è riuscito concretamente a finanziare l’azione per il clima salvo poi finire sotto l’ombrello del Piano Mattei per l’Africa. D’altronde avevamo visto questo vizio tutto italiano di non finanziare l’azione per il clima anche con il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC).
Come se non bastasse la posizione dell’Italia è molto “cauta” su molteplici aspetti della COP30 di Belém. Ad esempio il Brasile ha messo al centro il tema della salvaguardia delle foreste con un fondo dedicato alla tutela di quelle tropicali, si tratta del Tropical Forests Forever Facility (TFFF). Il fondo ha già raccolto più di 5,5 miliardi di dollari di impegni finanziari con l’adesione di 53 paesi tra cui non vi è l’Italia. La Cina ha rinviato il proprio sostegno finanziario, chiedendo un ruolo più attivo nella governance del fondo, mentre il nostro Paese non ha proprio ancora formalizzato la partecipazione.
Non è l’unico caso che dà un indizio della posizione dell’Italia nei negoziati per il clima di Belém. Possiamo anche classificarlo come un caso minore ma credo che abbia un valore politico molto forte. Proprio in questi giorni 43 paesi e l’Unione europea senza l’Italia hanno sottoscritto la Dichiarazione di Belém su fame, povertà e azione climatica in cui si riconosce che la crisi climatica aggrava le disuguaglianze sociali e le disuguaglianze globali spronando gli Stati ad integrare la lotta alla fame e alla povertà nelle politiche climatiche attraverso l’agricoltura sostenibile, i sistemi di protezione sociale e la tutela diritti dei popoli indigeni.
Di cosa si parla alla COP30 di Belém
Nei negoziati per il clima di Belém il focus sarà su tre macro filoni, ognuno con intensità e prospettive molto diverse che determineranno il futuro delle prossime COP: gli obiettivi di mitigazione ai cambiamenti climatici, la finanza per il clima e l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Contributi determinati a livello nazionale più ambiziosi e Global Stocktake
L’Emissions Gap Report 2025 del Programma dell’Ambiente delle Nazioni unite (UNEP) pubblicato poco prima della COP30 di Belém ci conferma nuovamente che servono obiettivi e piani di riduzione delle emissioni più ambiziosi perché i nuovi impegni riducono solo di poco l’aumento previsto della temperatura media globale.
Oltre a questo vi è la necessità di realizzare il Global Stocktake, il meccanismo di valutazione dei progressi ottenuti a livello globale nella risposta alla crisi climatica e nell’attuazione delle misure dell’Accordo di Parigi, tenendo a mente gli obiettivi di pianificazione dell’uscita dai combustibili fossili, aumento dell’uso delle energie rinnovabili e miglioramento dell’efficienza energetica a livello globale.
Va da sé che per sapere dove stiamo andando senza giocare al “famo a fidasse”, c’è bisogno di una maggiore trasparenza sull’attuazione dei contributi determinati a livello nazionale. Grandi attori come l’Unione europea e la Cina devono dimostrare la propria volontà per uscire dalla crisi climatica con risultati concreti e piani di attuazione verificabili e tracciabili. In caso contrario il castello di carta dei negoziati per il clima, fatto di relazioni ed equilibri precari, rischia di crollare.
Da Baku a Belém: il nodo della finanza per il clima
Tra le buone notizie alla vigilia di questa COP30 vi è la presentazione della “Baku-to-Belém Roadmap” richiesta dai Governi durante la COP29 di Baku per mobilitare 1,3 trilioni di dollari l’anno entro il 2035 nell’azione climatica.
Questa Roadmap è stata costruita sulle raccomandazioni del “Circle of Finance Ministers” e si propone di allineare gli obiettivi di Parigi con i meccanismi della finanza climatica.
Durante i negoziati per il clima si dovrà capire come gli Stati sosterranno l’attuazione della Roadmap, definendo quindi il proprio contributo nell’attuazione e nella garanzia di risultati in grado di stabilire un sistema di finanza climatica più equo, efficace e inclusivo.
I negoziati per il clima sull’Adattamento ai cambiamenti climatici
Tra le promesse di Lula prima della COP30 di Belém vi è quella di rendere questi negoziati per il clima un fulcro per l’adattamento ai cambiamenti climatici e la loro attuazione, invitando gli Stati ad incrementare la quantità e la qualità della finanza per l’adattamento climatico.
L’Adaptation Gap Report 2025 dell’UNEP ha aggiornato il costo dei finanziamenti necessari per l’adattamento ai cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo alla vigilia della COP30 di Belém, stimandolo a 310 miliardi di dollari all’anno nel 2035. Cifra che però aumenta a 365 miliardi di dollari l’anno se si considerano le esigenze estrapolate espresse nei contributi determinati a livello nazionale e nei piani nazionali di adattamento.
Però, nel frattempo, i flussi internazionali di finanziamenti pubblici per l’adattamento climatico destinati ai paesi in via di sviluppo sono stati pari a 26 miliardi di dollari nel 2023, in calo rispetto ai 28 miliardi di dollari dell’anno precedente. Ciò rende il fabbisogno di finanziamenti per l’adattamento climatico nei paesi in via di sviluppo tra le 12 e le 14 volte superiore a quanto si sta facendo adesso.
Quindi, tra tendenze finanziarie non proprio incoraggianti e il nuovo obiettivo collettivo quantificato (New Collective Quantified Goal - NCQG) per i finanziamenti climatici non sufficientemente ambizioso, il rischio è quello di non riuscire a colmare il divario finanziario per l’adattamento ai cambiamenti climatici che sta mettendo a rischio vite umane e intere economie.
Una lieve speranza sui negoziati per il clima di Belém
La COP30 di Belém è tra i negoziati per il clima più simbolici di sempre però le aspettative sembrano molto basse, con obiettivi e attese prudenti. Eppure tutto può succedere come ad ogni COP e possiamo concederci un qualche segnale di speranza (che è la parola più usata dai commentatori in questi giorni).
Come raccontato da Ferdinando Cotugno su Areale, il presidente brasiliano Lula ha usato più volte l’espressione “la COP della verità” per fronteggiare il negazionismo in tutte le sue forme, istituzionale e non.
La verità con cui ci confrontiamo quotidianamente però è quella della società nella crisi climatica con i continui disastri provocati da eventi estremi come l’uragano Melissa che ha colpito i Caraibi poco prima della COP30 ma anche l’alluvione di Valencia del 2024, la tempesta Daniel in Libia del 2023, oppure il Tifone Yagi e il ciclone Boris dell’anno scorso.
Senza dimenticare quello che accade in Italia come le recenti alluvioni in Lombardia di quest’anno e della Romagna tra il 2023 e il 2024 che ci dovrebbero far riflettere su cosa significa vivere la crisi climatica in Italia o su quali sono i costi nel nostro Paese di un mancato adattamento ai cambiamenti climatici.
Ogni giorno fronteggiamo la crisi climatica e la parola che si fa largo sempre con più forza è quella della “responsabilità”. Una parola importantissima che ci invita a riflettere sui rapporti di potere, su chi può dare la giusta direzione alle politiche climatiche e chi invece rischia di essere escluso a causa delle diseguaglianze sociali ma anche su chi questa responsabilità può assumerla insieme alle comunità.
Per questo vedo un segnale interessante di speranza nella Dichiarazione contro il razzismo ambientale presentata alla COP30 di Belém in cui il Governo brasiliano riconosce come la crisi climatica sia anche una crisi di giustizia razziale chiedendo a tutti gli Stati di cooperare per eliminare le disuguaglianze che espongono in modo sproporzionato persone afrodiscendenti, popoli indigeni e comunità locali a danni ambientali e climatici.
L’altro segnale interessante, che magari potrà dare una direzione per i futuri negoziati per il clima, è il sempre più crescente protagonismo degli enti subnazionali, ossia di enti regionali e comunali, nell’affrontare la crisi climatica. Prima di COP30 si è tenuto il Local Leaders Forum che ha riunito a Rio oltre 300 leader e che ha visto le città impegnarsi a a supportare i Paesi nell’attuazione degli NDC, a mobilitare la finanza climatica e a rafforzare l’azione multilivello. Credo sia molto significativo, poi, che l’assenza degli Stati uniti di Trump sia stata colmata da oltre 100 governatori, sindaci, funzionari statali e imprenditori, rappresentando circa il 60% dell’economia che rappresentano l’economia del Paese.
Sono segnali timidi per carità ma ogni volta che leggiamo i fenomeni della società nella crisi climatica dovremmo soffermarci su quelle cose che non sono mai accadute prima e forse iniziare a coltivare un pò di sana speranza verso il futuro che desideriamo.
Se vuoi seguire quotidianamente la COP30 ti suggerisco di iscriverti alla newsletter Areale curata da Ferdinando Cotugno e al bollettino di Italian Climate Network. Qui invece continueremo a parlarne con più calma seguendo l’imprevedibilità delle mie giornate. Se mi scrivi nella sezione commenti però cercherò di rispondere a ogni tuo dubbio e mi aiuterai a capire su cosa concentrarmi nella prossima lettera :)
Questa lettera è uno spazio per riflettere insieme sulla crisi climatica per andare oltre all’incomunicabilità con cui viviamo queste sfide. Quindi certamente ti leggo e ho cura di ogni tua interazione: scrivimi, commenta, condividi o lascia un cuoricino. Costruiamo insieme la community di Lettere nella crisi climatica.







