PNACC, il piano per l’adattamento climatico dell’Italia
Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC) dovrebbe aiutarci a gestire le conseguenze dei cambiamenti climatici, vediamo cos’è
Quotidianamente viviamo sulla nostra pelle gli effetti della crisi climatica e il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) dovrebbe preparare l’Italia agli impatti sempre più feroci del cambiamento climatico.
Spesso abbiamo visto l’Italia divisa in due tra ondate di calore e alluvioni. Gli eventi estremi sono sempre più frequenti e le emergenze si ripetono senza che vengano messe in atto politiche preventive efficaci. Se non cambiamo rotta in questa tempesta, la crisi climatica comincerà ben presto a prenderci a pugni in faccia. Come ho scritto più volte in queste lettere, l’adattamento ai cambiamenti climatici è una necessità non più negoziabile.
A queste parole potremmo lasciarci andare a un senso di impotenza e rassegnazione, potremmo pensare che nulla cambierà e che le priorità politiche sono ben altre. Eppure curare la società nella crisi climatica significa anche riflettere collettivamente sullo stato delle cose, pure se non vanno bene, per stimolare nuove idee da cui far germogliare azioni concrete.
In questa lettera ho quindi deciso di parlarti di quello che dovrebbe essere lo strumento principale per tutelarci di fronte alla crisi climatica garantendo l’attuazione di interventi strutturali: il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC).
Che cos’è il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC)?
Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) è un documento programmatico fondamentale per il futuro dell’Italia in quanto detta misure per l’adattamento climatico, quelle misure pensate per compensare, prevenire, attutire o correggere gli impatti della crisi climatica con interventi pianificati a livello territoriale e volti a rafforzare la resilienza dei territori e delle comunità. Almeno dovrebbe essere cosi, dato che ancora oggi sorgono delle perplessità sulla sua attuazione.
Il PNACC è stato approvato dal Ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Pichetto Fratin, con decreto n. 434 del 21 dicembre 2023, come strumento di attuazione della Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (SNACC) del 2015. Si è trattato dell’ultimo step formale dopo un lungo e faticoso percorso durato sei anni in cui il PNACC è passato nelle mani del governo Gentiloni (2018, anno di pubblicazione della prima bozza), due governi Conte (tra il 2018 e il 2021) e il governo Draghi (tra il 2021 e il 2022).
Sul sito del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (MASE) sono pubblicati cinque documenti che vanno a comporre il quadro complessivo del PNACC:
il documento del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici
l’allegato I con le metodologie per la definizione di strategie e piani regionali di adattamento
l’allegato II con le metodologie per la definizione di strategie e piani locali
l’allegato III con gli impatti e le vulnerabilità settoriali
Gli obiettivi del PNACC, la bussola per l’adattamento climatico
L’obiettivo principale dichiarato nel Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) è:
“fornire un quadro di indirizzo nazionale per l’implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo possibile i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, a migliorare la capacità di adattamento dei sistemi socioeconomici e naturali, nonché a trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare con le nuove condizioni climatiche”.
In altre parole, il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici si propone di offrire una bussola nella crisi climatica per pianificare attuare azioni per migliorare l’adattamento climatico, ridurre i rischi associati alle conseguenze dei cambiamenti climatici e coglierne anche le opportunità. Per queste caratteristiche il PNACC rientra tra le politiche di adattamento ai cambiamenti climatici in quanto è una misura che vuole diminuire la condizioni di vulnerabilità al rischio climatico, migliorare la resilienza e ridurre i costi della crisi climatica in Italia.
Per affrontare una sfida complessa come quella dell’adattamento climatico, il PNACC dovrebbe offrire obiettivi chiari e condivisi per ogni livello di governo, dal locale al nazionale, in modo che le misure di adattamento siano coordinate, coerenti e mirate. Per raggiungere il proprio scopo principale il PNACC stabilisce quattro direttrici fondamentali:
contenimento delle condizioni di vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici di fronti agli effetti dei cambiamenti climatici;
incremento della capacità di affrontare eventi futuri, rafforzando l’abilità di anticipare, gestire e recuperare dagli eventi estremi;
esplorazione dei potenziali vantaggi derivanti dal cambiamento climatico;
coordinamento delle azioni di adattamento al cambiamento climatico con lo scopo che siano integrate a tutti i livelli di governo.
Il quadro giuridico del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici
Sarebbe sbagliato pensare che strumenti come il PNACC nascano dalla buona volontà e lungimiranza dell’Italia di fronte ai rischi dei cambiamenti climatici. Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici è infatti la risposta dell’Italia a un quadro di impegni internazionali e strategie europee.
Spesso lo dimentichiamo ma di fronte a problemi globali di questa natura è sempre più importante la connessione tra dimensione locale e lo sforzo internazionale. D’altronde i cambiamenti climatici non hanno confini, tutti i Paesi partecipano all’accelerazione dei cambiamenti in atto e tutti possono essere colpiti anche se in modalità e intensità diverse.
Il PNACC è quindi figlio di un lungo lavoro a livello internazionale che parte dalla Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) adottata nel 1992 e che ha stabilito all’articolo 4 l’obbligo per tutti i Paesi di formulare e attuare programmi nazionali per l’adattamento. Impegno rafforzato successivamente e in modo decisivo dall’Accordo di Parigi del 2015 negli articoli 2 e 7, definendo come obiettivo globale quello di aumentare la capacità adattarsi agli effetti negativi dei cambiamenti climatici e di promuovere la resilienza ai cambiamenti climatici.
Più recentemente, l’esistenza di obblighi di adattamento climatico discendente dal diritto internazionale è stata confermata dal parere consultivo sugli obblighi degli Stati nel contesto della crisi climatica emesso dalla Corte internazionale di giustizia a luglio 2025, dove viene anche determinato cosa accade agli Stati che vengono meno a questi obblighi.
L’Unione europea ha promosso numerose iniziative che si inseriscono nel solco tracciato a livello internazionale. Un primo impulso agli stati membri viene dato grazie all’adozione della prima Strategia dell’Unione europea sull’adattamento ai cambiamenti climatici del 2013, mentre un passo più concreto viene fatto nel 2019 con la presentazione del Green Deal.
In quest’ambito è stata approvata la “Normativa europea sul clima” (regolamento UE 2021/1119) al cui articolo 5 si afferma che le istituzioni competenti dell’Unione e gli Stati membri assicurano il costante progresso nel miglioramento delle politiche di adattamento, in conformità con l’Accordo di Parigi.
Altri atti importanti sono il “regolamento tassonomia” (regolamento UE n. 852/2020), che introduce il principio di non arrecare danni significativi (Do no significant harm - DNSH) agli obiettivi ambientali come l’adattamento climatico, e la nuova strategia di adattamento ai cambiamenti climatici dell’Unione europea approvata nel 2021.
A cascata l’Italia ha recepito questi indirizzi attraverso un percorso progressivo iniziato con la Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (SNACC), adottata nel 2015, che ha fornito il primo quadro di riferimento a cui sarebbe dovuto seguire in tempi brevi l’adozione del PNACC, approvato formalmente con il decreto 434 del 21 dicembre 2023 del MASE.
Cosa dice il decreto n. 434 del 21 dicembre 2023 approvato dal MASE?
Il decreto 434 del 21 dicembre 2023 approvato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) è l’atto che approva formalmente Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC) con i suoi quattro allegati tecnici.
Nel decreto 434 del 2023 vengono richiamati i principali accordi internazionali ed europei in materia di cambiamenti climatici che ti ho appena raccontato, oltre che le normative nazionali che fanno riferimento al percorso di valutazione ambientale strategia (VAS) che precede l’approvazione finale.
Operativamente l’articolo 2 afferma che il PNACC viene aggiornato ogni 6 anni tenendo conto delle tempistiche stabilite per il monitoraggio e che gli aggiornamenti degli allegati tecnici sono adottati con decreto direttoriale della direzione generale competente per materia. Come ribadito all’articolo 3, l’approvazione del PNACC non comporta nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica, mentre si individua la Piattaforma Nazionale Adattamento Cambiamenti Climatici come strumento di pubblicazione e trasparenza.
Quali sono gli effetti del cambiamento climatico in Italia? La risposta del PNACC
Se da una parte dovremmo continuare a chiederci cosa significa vivere la crisi climatica in Italia, dall’altra il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) individua gli effetti della crisi climatica nel nostro Paese.
L’Italia è un Paese fragile, ripetutamente colpito dai disastri innescati da fenomeni come terremoti, alluvioni o frane. La natura stessa del territorio italiano porta con sé molteplici fragilità che si sovrappongono.
Dal punto di vista geografico, l’Italia insieme al bacino del Mediterraneo si colloca in un “hotspot climatico”, un’area particolarmente vulnerabile e sensibili agli effetti dei cambiamenti climatici. Le principali tendenze osservate e previste nel PNACC per l’Italia delineano un quadro tutt’altro che rasserenante:
Aumento delle temperature e della frequenza, intensità e durata delle ondate di calore;
Variazione delle precipitazioni con periodi di siccità più lunghi e intensi che si alternano con piogge brevi e un intensità eccezionale aumentando il rischio di alluvioni e dissesto idrogeologico;
Innalzamento del livello del mare.
Il PNACC riporta che la temperatura media mostra una marcata tendenza in crescita, con un tasso di variazione di (+0.39± 0.04) °C ogni 10 anni tra il 1981 e il 2022. Le proiezioni indicano incrementi superiori a 2°C nello scenario RCP 8.5.
Parallelamente c’è un aumento degli indici legati agli estremi di caldo (giorni e notti calde, notti tropicali) e una riduzione degli estremi di freddo (giorni di gelo). Anche le precipitazioni di neve e pioggia tendono a verificarsi meno frequentemente, ma con intensità maggiori. A scala nazionale non emergono tendenze significative, ma a livello regionale si prevede una diminuzione delle precipitazioni complessive annue nel Sud Italia e in Sardegna con un potenziale aumento nel Nord-Ovest e Nord-Est.
Gli effetti dei cambiamenti climatici si vedono anche sulla criosfera (neve, ghiacciai, permafrost) e sulle montagne. Secondo il PNACC i ghiacciai hanno già perso dal 30% al 40% del loro volume a cui si somma la riduzione dello stock idrico (per capirci l’acqua contenuta nella neve). Oltre al rischio di crisi idriche anche nei sistemi montuosi, lo scioglimento del permafrost e il ritiro dei ghiacciai minacciano la stabilità dei versanti montani portando all’aumento del rischio di fenomeni come il crollo della Marmolada del 2022 quando si distacco parte del ghiacciaio.
Per quanto riguarda gli effetti dei cambiamenti climatici sulle risorse idriche e sul dissesto idrogeologico e idraulico, gran parte sono riconducibili alle modifiche del ciclo dell’acqua e alle condizioni di vulnerabilità intrinseche dell’Italia. Il PNACC prevede una maggiore frequenza e durata dei periodi di siccità, mentre allo stesso tempo il clima altera i parametri fisici e chimici delle acque. Anche qui il problema è doppio: da una parte l’aumento della domanda estiva d’acqua (per uso civile, irriguo o industriale) può portare a conflitti d’uso multiscala e intersettoriali, dall’altra l’aumento di precipitazioni estreme e la loro concentrazione in tempi brevi aumentano il rischio di frane e alluvioni.
Nel PNACC si registrano anche gli effetti dei cambiamenti climatici sul Mediterraneo. Le proiezioni contenute nel Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici indicano un aumento significativo del livello del mare che potrebbe arrivare fino a 19 cm nel Mar Tirreno, Ligure e Mediterraneo occidentale entro il 2036-2065. A loro volta l’innalzamento del mare e l’intensificazione delle mareggiate aggravano i fenomeni erosivi causando la scomparsa di aree costiere, spiagge e infrastrutture turistiche. Tra il 2007 e il 2019, il 37,6% dei litorali ha subito variazioni superiori a 5 metri. Negli ultimi anni ad esempio abbiamo sentito parlare dell’invasione del granchio blu, ebbene una delle conseguenze dell’aumento della temperatura superficiale delle acque consiste nella “meridionalizzazione” e “tropicalizzazione” della comunità biologica marina che favorisce l’arrivo e l’espansione di specie aliene abituate ad ambienti più caldi con il declino delle specie autoctone che vivono in acque fredde.
Gli impatti e le vulnerabilità settoriali ai cambiamenti climatici
Gli effetti del cambiamento climatico in Italia sono profondi e trasversali, per questo il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) mappa anche gli impatti e le vulnerabilità settoriali.
Dal punto di vista economico, le proiezioni del PNACC indicano il rischio di una riduzione fino all’8% del PIL nazionale entro il 2100, con effetti particolarmente accentuati nel Sud e nelle isole, dove il costo della crisi climatica potrebbe comportare un calo del PIL pari al 25% entro il 2080. Occorre ricordare che però già oggi la crisi climatica alimenta le disuguaglianze sociali, colpendo in modo più feroce le persone o le comunità in condizione di vulnerabilità e marginalità.
Nel settore agricolo, il PNACC mostra le condizioni di vulnerabilità delle produzioni, con riduzioni delle rese soprattutto nelle colture primaverili ed estive e nelle zone meridionali segnate da siccità e calore intenso. Anche la zootecnia soffre per effetto dello stress termico sugli animali, con ricadute negative sulla produttività lattiera. Il degrado del suolo, la desertificazione e la salinizzazione delle aree costiere minacciano la biodiversità e la capacità di regolazione degli ecosistemi agro‑forestali e pastorali.
Le foreste italiane, insieme agli ecosistemi terrestri, sono metafora delle trasformazioni imposte dal clima: si osservano spostamenti di specie animali e vegetali verso quote più elevate o regioni più fresche, mentre la crescente frequenza di incendi, soprattutto nel Sud e nelle isole, e l’aumento dei parassiti compromettono la salute dei boschi, amplificati da eventi estremi come la tempesta Vaia.
In ambito urbano e sanitario, le città italiane accentuano gli effetti climatici con l’isola di calore, ondate di calore sempre più mortali e l’aggravamento della qualità dell’aria, che favorisce allergie e malattie trasmesse da vettori come la zanzara tigre. Le infrastrutture urbane, così come i trasporti e il patrimonio culturale, sono sottoposti a rischi crescenti: il caldo dilata asfalto e rotaie, le piogge intense generano dissesti e allagamenti, e i beni culturali costieri sono a rischio erosione e corrosione.
Infine il settore energetico si trova in una fase cruciale: la domanda di energia per il raffrescamento estivo è destinata a crescere fino a cinque settimane in più entro la fine del secolo, con rischi di blackout (come successo più volte nell’estate 2025 a Sesto San Giovanni), mentre la produzione idroelettrica è minacciata dalla riduzione delle risorse idriche e lo stress termico condiziona anche gli impianti termoelettrici.
Come sarà l’Italia nel 2050 a causa dei cambiamenti climatici?
Rispondere a questa domanda ci permette di alzare lo sguardo verso l’orizzonte per immaginare come sarà il clima dell’Italia nel 2050, magari può essere anche una base su cui lavorare con i futures studies.
Per capire gli effetti dei cambiamenti climatici al 2050 si utilizzano i “Percorsi Rappresentativi di Concentrazione” (nei documenti dell’IPCC li trovi sotto il nome di Representative Concentration Pathways, RCP), ossia degli scenari climatici che vengono espressi in termini di concentrazioni di gas serra. La sigla RCP viene solitamente accompagnata da un numero che rappresenta il “forzante radiativo”(Radiative Forcing – RF), la misura dell’influenza di un fattore nell’alterazione del bilancio tra energia entrante ed energia uscente nel sistema Terra-atmosfera, che viene espresso in unità di watt per metro quadrato. Il forzante radiativo indica l’entità dei cambiamenti climatici di origine antropica entro il 2100 rispetto al periodo preindustriale. Ogni RCP mostra una diversa quantità di calore addizionale immagazzinato nel sistema terra quale risultato delle emissioni di gas serra.
I Percorsi Rappresentativi di Concentrazione più usati sono l’8.5 e il 4.5. Lo scenario RCP8.5 è quello spesso chiamato “Business-as-usual”, ossia uno scenario in cui le emissioni continuano a crescere ai ritmi attuali in cui non vengono portate avanti azioni di mitigazione dei cambiamenti climatici. Lo scenario RCP4.5 è invece uno scenario intermedio che viene considerato di “stabilizzazione” entro fine secolo dato che vengono messe in atto delle iniziative di mitigazione. Considerando che il PNACC considera lo scenario RCP8.5 poco realistico ma utile per la pianificazione in quanto scenario peggiore, per rispondere alla domanda “come sarà l’Italia nel 2050 a causa dei cambiamenti climatici?” ti riporto le informazioni contenute nel PNACC per lo scenario RCP4.5.
L’Italia del 2050 per gli effetti dei cambiamenti climatici sarà un Paese con temperature più alte, meno acqua ed eventi estremi più frequenti situato in un mediterraneo che progressivamente si sta trasformando in un contesto subtropicale.
Le estati italiane del 2050 saranno più lunghe e torride, si arriverà a 18 giorni di caldo estremo in più per ogni anno, mentre le piogge diventeranno sempre meno frequenti e più intense. Entro il 2050, le temperature medie annuali aumenteranno in tutta la penisola di +1,2–1,5 °C e, se non cambierà il nostro modo di vivere, le città verranno colpite ancora più duramente dalle ondate di calore. Di conseguenza la domanda energetica estiva aumenterà fino a cinque settimane di raffrescamento in più all’anno, mentre il consumo invernale per riscaldamento si ridurrà
Le portate dei fiumi saranno sempre più ridotte (tra il -15 e il -40%), i pozzi inizieranno a prosciugarsi e molte falde acquifere verranno contaminate dalla risalita del mare. Le proiezioni indicano cali delle portate (più marcati in estate) con ampie differenze tra distretti e scenari; ciò comporta criticità per gli usi irrigui e la produzione idroelettrica. A risentirne sarà quindi l’agricoltura, che vede già oggi i campi del Sud e delle isole sempre più aridi. Colture come mais, girasole e grano duro registreranno cali di resa fino al 30%, mentre olivi e vigneti migreranno verso Nord. La siccità e l’aridità cresceranno soprattutto nella Pianura Padana e nel Mezzogiorno, dove gli indici climatici evidenziano una tendenza alla desertificazione fino al 40% del territorio. La produzione idroelettrica sarà più instabile e con un potenziale calo estivo intorno al -35%.
Nel frattempo le coste italiane rischiano di perdere chilometri di spiagge per colpa dell’erosione e dell’innalzamento del livello del mare. Le lagune si salinizzeranno, le acque dolci diventeranno più scarse, e con esse si ridurranno anche le nostre riserve di cibo e energia.
Se non si attuano con convinzione azioni di adattamento ai cambiamenti climatici, l’Italia del 2050 sarà un Paese ancora più fragile di quello che è oggi. Alzare lo sguardo verso l’orizzonte ci permette di guardare al futuro e andare oltre ai problemi dello short-termism con l’obiettivo di curare l’Italia in cui viviamo.
Le risposte del PNACC: misure e azioni di adattamento climatico
Arrivate a questo punto mi sembra scontato dirti che per affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici serva un approccio proattivo che dovrebbe essere orientato proprio dal PNACC. Adattarsi alla crisi climatica non è una semplice reazione a un emergenza provocata da un evento estremo ma un intervento strategico e pianificato per ridurre le condizioni di vulnerabilità ai cambiamenti climatici.
Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) opera su due livelli di intervento, uno sistemico e uno di indirizzo. Dal punto di vista sistemico si propone di costruire il contesto organizzativo e dovrebbe dare direttive attuativi, criteri di priorità e linee di finanziamento. Dal punto di vista dell’indirizzo il PNACC offre una repository categorizzazione delle misure di adattamento ai cambiamenti climatici che si potrebbero attuare.
In particolare, il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici nell’allegato IV fornisce un catalogo di possibili misure per guidare le scelte a tutti i livelli di governo. Il PNACC distingue tra tre tipi di misure di adattamento ai cambiamenti climatici: le azioni soft (o immateriali), le azioni green basate sulla natura e le azioni grey (quelle strutturali).
Le misure di adattamento ai cambiamenti climatici sono inoltre distinte per tipologia e macro-categorie. Tra le misure “soft” di tipo A per l’adattamento ai cambiamenti climatici rientrano le macro-categorie dell’informazione, dei processi organizzativi e della governance. Tra le misure “non soft” di tipo B rientrano l’adeguamento di impatti e infrastrutture, soluzione basate sui servizi ecosistemici (Nature-based solution) e reti di difesa e drenaggio, manutenzione, stoccaggio idrico e laminazione.
Analizzando il database allegato al PNACC si può vedere come sono state distribuite complessivamente le misure di adattamento ai cambiamenti climatici e quali sono le priorità: 37% delle misure riguardano l’informazione, 32% il miglioramento della governance, 12% l’adeguamento e il miglioramento delle infrastrutture, 12% le nature-based solutions e 7% i processi organizzativi e partecipativi. Come già si vede a prima vista la gran parte delle misure indicate dal PNACC riguardano le misure soft ma adesso ti faccio vedere un po più nel dettaglio.
Che cosa sono le misure “soft”?
Con misure “soft” di adattamento ai cambiamenti climatici si intendono azioni che non sono strutturali e che non implicano interventi fisici ma che rafforzano le conoscenze, il quadro normativo, la governance, le competenze e la consapevolezza su come affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici.
Secondo il database allegato al PNACC le azioni “soft” sono la vera priorità del Piano nazionale di adattamento climatico in quanto compongono il 76% delle misure previste. A loro volta le misure soft possono essere suddivise per:
il 42% di misure che rientrano nella governance e che riguardano piani e strategie per l’adattamento (12%) attività di governance sugli strumenti economici e finanziari come assicurazioni, incentivi e piani di investimento (12%), attività di indirizzo attraverso linee guida e sperimentazioni (9%) e adeguamenti legislativi o regolativi (8%);
il 49% di misure che rientrano nelle attività di informazione e che riguardano attività di monitoraggio, dati e modellizzazione (21%), attività di ricerca e valutazione sull’adattamento ai cambiamenti climatici (15%) e attività di divulgazione, percezione dei rischi, consapevolezza e formazione (12%).
il 9% di misure che rientra nella sfera di processi organizzativi e partecipativi che consistono in attività di coordinamento istituzionale, gestione delle azioni di adattamento e di partenariato o partecipazione civica.
Cosa sono le misure di adattamento “green” o Nature-Based Solutions?
Le misure di adattamento ai cambiamenti climatici definite “green” si ispirano alle Nature-Based Solutions, ossia soluzioni che utilizzano le capacità degli ecosistemi e della natura per fornire servizi di adattamento. Ad esempio è il caso del verde urbano (parchi, tetti verdi, alberature) utilizzate per ridurre l’effetto “isola di calore” e gestire le acque piovane.
Secondo il database allegato al PNACC le azioni “green” compongono il 13% delle misure di adattamento climatico previste complessivamente. A causa della loro natura, il 96% di queste misure rientra nella voce “soluzioni basate sui servizi ecosistemici” mentre il restante rientra nelle azioni di adeguamento delle infrastrutture. Tuttavia le misure green possono essere suddivise come segue:
39% agli ecosistemi fluviali, costieri e marini
35% agli ecosistemi forestali e agroforestali
15% riqualificazione del costruito
Cosa si intende per misure di adattamento grey?
Le misure di adattamento climatico “grey” sono invece tutte quelle misure che richiedono interventi strutturali di tipo tecnologico, ingegneristico o infrastrutturale per tutelare le persone, beni e servizi dagli effetti dei cambiamenti climatici.
Secondo il database allegato al PNACC le azioni “grey” compongono l’11% delle misure di adattamento climatico previste e la loro totalità rientra nella voce degli interventi destinati all’adeguamento e miglioramento di impianti e infrastrutture. Una metà di queste misure di adattamento riguarderà impianti destinati alla generazione di energia elettrica, ai sistemi di raffreddamento e altre strutture settoriali. L’altra metà è invece dedicata ai sistemi di difesa dai rischi climatici, stoccaggio o trasmissione.
Come attuare le misure di adattamento climatico in Italia?
La scelta di optare per un database con 361 misure di adattamento ai cambiamenti climatici è comprensibile nei termini in cui l’attuazione concreta spetterà ai diversi livelli di governo che dovranno scegliere e attuare le misure più adatte in base la contesto. Il problema è che però con il PNACC non sono state messe risorse a disposizione per attuare queste stesse misure di adattamento climatico.
Con riferimento al livello locale, il PNACC si limita a evidenziare come gli enti territoriali dispongano di diversi strumenti che possono contribuire al percorso di adattamento ai cambiamenti climatici come i piani di adattamento (e mitigazione) comunali, i piani e le strategie di sostenibilità, i programmi di Agenda urbana, le Agende Metropolitane per lo sviluppo sostenibile e i Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima (PAESC-SECAP) adottati nel quadro del nuovo Patto dei Sindaci per il Clima e l’Energia.
Come ti dicevo, chiaramente tutte queste misure per l’adattamento ai cambiamenti climatici necessitano di finanziamenti. Il PNACC su questo si limita ad elencare alcune possibili risorse di finanziamento come i programmi europei (Life, FESR, il meccanismo UE di protezione civile, la Urban initiative action, Horizon Europe e la politica agricola comune - PAC) e le linee di finanziamento nazionali (metro plus, piano operativo nazionale di cultura e sviluppo, il piano nazionale per la ricerca e il fondo sviluppo e coesione).
La governance del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici
Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) come abbiamo visto interessa diversi settori della società e ogni livello di governo, per questo uno dei capitoli è dedicato alla governance dell’adattamento ai cambiamenti climatici.
Il cuore della governance prevista dal PNACC è l’Osservatorio Nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, un organismo pensato per coordinare il processo di adattamento ai cambiamenti climatici in Italia attraverso tre componenti principali: il Comitato, la Segreteria tecnica e il Forum.
Il Comitato, l’organo di indirizzo e coordinamento strategico composto da rappresentanti dei principali Ministeri e dei governi regionali e locali (Regioni, ANCI), ha il compito di definire le priorità, approvare i programmi di lavoro e garantire la coerenza delle politiche di adattamento a livello nazionale.
La Segreteria Tecnica, gestita dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) in collaborazione con l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), fornisce il supporto tecnico-scietnifico necessario al Comitato, predisponendo analisi, rapporti e documenti.
Il Forum è lo spazio dedicato al dialogo, al confronto e al coinvolgimento di tutti i portatori di interesse. Attraverso il Forum, associazioni ambientaliste, rappresentanti del settore privato, mondo della ricerca e organizzazioni della società civile possono partecipare attivamente al processo, portare le proprie istanze, condividere conoscenze e contribuire con proposte concrete che nascono dai territori.
Complessivamente l’Osservatorio Nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici dovrebbe:
curare l’aggiornamento periodico del PNACC;
aggiornare nel tempo le azioni di adattamento climatico individuate dal PNACC e le relative priorità di intervento;
individuare fonti di finanziamento per l’attuazione delle misure indicate dal PNACC fornendo indirizzi per il loro utilizzo e proposte di coordinamento e integrazione tra strumenti di pianificazione e programmazione nazionali e regionali;
curare le attività di monitoraggio, reporting e valutazione.
Ed eccoci finalmente arrivati al problema principale del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC): ad ottobre 2025 il piano non ha ricevuto una adeguata copertura finanziaria e non sono stati istituti quegli organi come l’Osservatorio Nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici che dovrebbero attuarlo.
Il problema di per se è semplice: da un lato l’Osservatorio Nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici difficilmente si può realizzare senza l’adeguata copertura economica, dall’altra il PNACC non può essere attuato senza l’Osservatorio che ha anche il compito di individuare le fonti di finanziamento.
Quanto è grave la situazione? In realtà non possiamo saperlo ma difficilmente l’Italia senza il PNACC è in grado di rispondere efficacemente alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Di fatto il PNACC a ottobre 2025, a quasi due anni dalla sua approvazione, è fermo considerando che il comitato e la segreteria dell’Osservatorio dovevano essere istituiti a 3 mesi dall’’approvazione del decreto 434 del 2023 con cui è stato adottato il PNACC.
Il PNACC, un crocevia per il futuro dell’adattamento in Italia
Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) dovrebbe rappresentare lo strumento principale per l’adattamento climatico in Italia ma ancora a ottobre 2025 sembra più un progetto a metà senza gambe su cui reggersi. Senza contare che il PNACC dovrebbe essere il quadro operativo che dovrebbe attuare una strategia nazionale, la SNACC del 2015 che a sua volta è ormai vecchia di 10 anni.
Sicuramente di per se, il PNACC è uno strumento migliorabile ma non per questo va abbandonato. Come analizzato nel rapporto “Coinvolgimento delle comunità in condizioni di fragilità e marginalità nelle politiche di adattamento al cambiamento climatico”, curato da Valeria Righi per ActionAid Italia, il PNACC richiama a valori di giustizia ed equità però fa fatica proprio sull’applicazione concreta di questi principi. Il PNACC infatti riconosce le possibili disuguaglianze generate dagli effetti dei cambiamenti climatici ma non propongono né strumenti operativi né analisi localizzate delle condizioni di vulnerabilità. Ricordiamoci ad esempio che la crisi climatica è anche una questione di genere.
Dovremmo forse chiederci il perché, però effettivamente il PNACC alcune delle priorità percepite. In Italia è ancora molto sentito il problema della comunicazione sui cambiamenti climatici, della mappatura dei rischi e della sensibilizzazione rivolta a cittadini, operatori e pubbliche amministrazioni. Certamente si può criticare la ripartizione delle misure ma il problema fondamentale è che il piano è sostanzialmente fermo altrimenti il forum, se realmente efficace e ispirato dai principi della democrazia partecipativa e deliberativa, potrebbe apportare dei correttivi.
Quelli che sembrano eventi futuri e lontano a noi possiamo improvvisamente trovarceli davanti alla porta. Magari vivi a Milano e leggi sui social delle alluvioni in Romagna o nelle Marche. Ti sembrano lontanissimi ma ecco che quelle immagini le ritrovi non tanto tempo dopo a Bresso, Niguarda e Meda come nel caso delle alluvioni che ha colpito la Lombardia nel 2025. Quello che era a centinaia di chilometri di distanza, è li e lo puoi (o potresti) toccare con mano. Il fatto è però che in mezzo a tutti questi eventi estremi ci sono vite di persone che spesso rischiano di essere dimenticate e intrecciarsi con la precarietà della società nella crisi climatica.
La crisi climatica non è uguale per tutte e tutti e amplifica ingiustizie preesistenti. Spesso le reti sociali e le realtà della società civile che compongono il terzo settore cercano di colmare i vuoti istituzionali ma non potrà mai sostituire la necessità di politiche strutturali. Forse dovremmo domandarci perché a ogni disastro sembra sempre di ricominciare da capo e perché uno strumento come il PNACC dopo tanto tempo viene abbandonato al freddo.
E tu cosa ne pensi? Conoscevi il PNACC? Perchè secondo te non è stato ancora attuato? Rispondimi nella sezione commenti :)
Questa lettera è uno spazio per riflettere insieme sulla crisi climatica per andare oltre all’incomunicabilità con cui viviamo queste sfide. Quindi certamente ti leggo e ho cura di ogni tua interazione: scrivimi, commenta, condividi o lascia un cuoricino. Costruiamo insieme la community di Lettere nella crisi climatica.









